Una bomba carta davanti al portone di casa del presidente del consiglio comunale, ed ex dirigente di Gaia Luca Ragoni. A darne notizia è lo stesso Ragoni, che interviene, con una lunga lettera, sulla vicenda , relativa al suo divorzio consensuale con Gaia, che lo vede protagonista.

«Finora non avevo parlato di quell’episodio – racconta – avvenne a fine gennaio scorso, subito dopo lo sgombero del Comune occupato, in pieno giorno. Ricordo che mi chiamarono, io ero a Gaia. Ricordo la corsa per andare a prendere i miei figli allo scuolabus e non portarli a casa quel giorno, per evitare che si accorgessero di quello che era accaduto». «In questi giorni – continua il presidente del consiglio comunale – ho subito una campagna denigratoria strumentale ed inaccettabile che rigetto completamente, ma che mi offre l’occasione di chiarire alla città alcuni aspetti relativi al mio operato. Innanzitutto è corretto distinguere tra il mio ruolo pubblico di presidente del Consiglio Comunale e quello privato di dipendente di Gaia Spa, con cui ho risolto consensualmente il mio rapporto di lavoro nel Luglio del 2015».

«In qualità di presidente del Consiglio Comunale – continua – ho sempre avuto una condotta imparziale tra le parti e di garanzia per tutti i consiglieri e cittadini, e non esiste un atto della mia attività politica ed istituzionale che possa deporre in modo contrario.Anche la mia attività privata di dipendente non ha mai influenzato e condizionato il mio ruolo pubblico. In oltre vent’anni non ho mai perso un solo giorno di lavoro, garantendo presenza e reperibilità anche durante periodi di malattia. Credo di aver dimostrato senso del dovere e di responsabilità anche in occasione dell’alluvione del 2014, periodo nel quale ho dovuto sopportare anche atti intimidatori come l’esplosione di una grossa bomba carta sotto il mio portone, fatti noti alle forze dell’ordine, ma che ho chiesto di non divulgare per garantire la maggior serenità dei mie figli. Oggi mi vedo costretto a parlarne, non per ricevere “un premio”, ma per sottolineare l’impegno globale che ho portato avanti in questi anni, con abnegazione professionale e personale».

 E entrando nel vivo della questione: «Le accuse che mi vengono rivolte sono costellate di falsità. Non ho mai posseduto una carta di credito aziendale, non ho mai utilizzato cellulari o mezzi aziendali per uso privato e quando anni fa mi fu rilevato, dopo tanto tempo, un costo eccessivo delle connessioni l’ho pagato personalmente, anche se erano state effettuate per motivi lavorativi – prosegue – Dopo quell’esperienza ho sempre utilizzato cellulari personali, come possono attestare le bollette “a zero” di questi anni, del cellulare comunale che ho in dotazione. Contemporaneamente, non ho mai chiesto rimborsi spese per pranzi di lavoro svolti per conto della società, ovunque questi abbiano avuto luogo. Per ciò che concerne la mia presenza sul posto di lavoro e l’accusa di timbrature assenti, preciso anche che i Dirigenti non hanno alcun obbligo contrattuale di timbrare il cartellino, ma usufruiscono di un‘autoregolamentazione dell’orario di lavoro. Il dirigente, infatti, lavora per conseguire obiettivi in base ai compiti assegnati, che – nel mio caso – erano anche quelli di tenere rapporti con tanti soggetti esterni».

«La mia firma per la risoluzione del contratto con Gaia (con la quale io ho accettato un vincolo di riservatezza, impegnandomi a non fare nei confronti di Gaia nessuna azione legale) testimonia il clima non sereno che ho vissuto negli ultimi anni in cui ho lavorato in quel ruolo- continua Ragoni – Non ho quindi macchie sulla coscienza e mi ritengo in grado di svolgere a testa alta e con la giusta serenità il mio ruolo di presidente del Consiglio Comunale. Allo stesso modo non serbo rancori verso nessuno, perché sono abituato a guardare avanti, sia nel mio nuovo lavoro che nella mia vita».

«Sono deluso da chi interpreta la politica esclusivamente come denigrazione personale dell’avversario, strumentalizzando informazioni distorte ed emettendo giudizi sommari, senza alcun rispetto delle persone. Questo modo di agire è sinonimo di una cultura che non appartiene né a me, né ai democratici, di cui ho l’onore di fare parte. Screditare e diffamare non è fare politica- conclude – Non sentendomi in grado di valutare sotto il profilo giuridico le affermazioni denigratorie rivoltemi, ho ritenuto necessario rivolgermi ad un professionista legale che, proprio in queste ore, sta studiando di procedere in tutte le sedi contro gli autori della campagna denigratoria, a qualsiasi livello possa essersi sviluppata».

 

il tirreno