Il tribunale di Massa dà ragione a Omya e Franco Barattini e con un’ordinanza del giudice Paolo Puzone sancisce che i beni estimati «sono proprietà privata». Rinviate alla corte costituzionale le eccezioni sulla legge regionale 35 ma intanto gli imprenditori del lapideo esultano e il municipio incassa una pesante sconfitta. «La ricostruzione storica dei trasferimenti dei Beni Estimati (…) evidenzia come essi siano stati da sempre ritenuti suscettibili di libera circolazione tra privati secondo le ordinarie regole della proprietà privata, a differenza degli agri marmiferi comunali che – questi sì – appartengono al patrimonio comunale.

E il regime differenziato riservato agli agri marmiferi comunali, da una parte, ed ai “Beni Estimati”, dall’altra, viene confermato anche dalla diversa regolamentazione operata per gli uni e per gli altri dallo stesso Comune di Carrara» è questo il passaggio chiave del provvedimento con cui il giudicePaolo Puzone del Tribunale di Massa ha avvallato le posizioni del colosso del carbonato di calcio Omya e dell’imprenditore del lapideo Franco Barattini per rivendicare i diritti di proprietà sui Beni estimati da loro “coltivati”. Si tratta solo di una delle 11 azioni legali avviate da altrettante aziende “titolari” di Beni Estimati, la prima in ordine di tempo ad essere esaminata e accolta dal Tribunale di Massa. L’ordinanza del giudice Puzone dunque spiana la strada ad altri dieci verdetti favorevoli a coloro che sostengono la natura “privata” delle cave inserite nell’editto di Maria Teresa Cybo Malaspina del 1751.

Quello uscito ieri dal Tribunale di Massa è un pronunciamento importantissimo, forse di rilevanza storica, che segna un pesante punto a favore degli imprenditori delle cave e infligge un’altrettanto pesante battuta d’arresto alla linea portata avanti dall’amministrazione comunale e da quella regionale, soprattutto attraverso la legge 35 che sanciva appunto il superamento dei Beni Estimati. Con la norma varata un anno fa l’amministrazione toscana acquisiva anche queste cave al patrimonio indisponibile del Comune, sancendone così la natura pubblica. Un passaggio contestato dal giudice Puzone che nella sua ordinanza scrive: «La norma è formulata come diretta a disporre una “ricognizione” di quei beni (…). In effetti, essa non pare avere portata ricognitiva, ma innovativa, posto che intende disciplinare per il futuro il regime di quei beni, assegnando loro – evidentemente in via definitiva – un assetto del tutto diverso da quello attuale, ed in contrasto con gli atti che ne hanno determinato l’odierna situazione».

Come a dire che secondo il giudice, la “ricognizione” delle cave imposta dalla legge regionale 35 cela in realtà un trasferimento dei Beni Estimati dalle mani dei privati – in cui li aveva messi Maria Teresa Cybo Malaspina 300 anni fa – a quelle del municipio: e poiché, scrive nero su bianco il giudice «essi risultino, allo stato, oggetto di proprietà privata» la legge 35 «sarebbe dunque sostanzialmente diretta – secondo le società attrici – a realizzare una sorta di espropriazione in un caso non previsto dalla legge, senza indennizzo, e senza l’indicazione di un motivo d’interesse generale che la giustifichi». Per tutti questi motivi l’ordinanza ha accolto le contestazioni presentate per Omya e Franco Barattini dal professor Sergio Menchini e dall’avvocato Riccardo Diamanti.«E’ una grande vittoria. Il provvedimento del giudice Puzone dice con chiarezza che i beni estimati sono privati e non possono essere sottratti deliberatamente ai privati. Altrimenti, come da me già messo in evidenza, si è davanti a un esproprio mascherato» ha commentato il professor Menchini.

Sancita, almeno per ora, la natura privata dei Beni Estimati il Tribunale di Massa ha rimesso alla Corte Costituzionale i profili inerenti la legittimità dell’articolo 32 della legge 35 del 2015, cosa che permetterà agli imprenditori di sfilare davanti al massimo tribunale a rivendicare la proprietà di quelle cave.

 

il tirreno