Tra le grandi emittenti nazionali e le piccole realtà locali e territoriali c’è di mezzo il mare. Un mare fatto di sostegni economici che non sono arrivati nel lockdown e non arriveranno neanche oggi, di una migrazione tecnologica che penalizzerà ulteriormente un fatturato già stroncato dal Covid e di piccole e grandi discriminazioni che mettono di fatto a rischio il pluralismo dell’informazione. REA – Radiotelevisioni Europee Associate, aderente a Federlavoro, ha indetto per il 10 giugno 2021 una grande manifestazione assieme a LibersindConfsal. Ce ne parla Antonio Diomede, Presidente REA.
Intervista ad Antonio Diomede, Presidente REA – Radiotelevisioni Europee Associate, aderente a Federlavoro.
La stampa, ed in particolare la televisione, non dovrebbero aver sofferto a causa del Covid, fornendo servizi di natura essenziale. Ma è davvero così, o meglio: è così per tutti?
Non è così per tutti. La stampa nazionale ha senza dubbio avuto più ascolti grazie al lockdown imposto dal Covid, ma la stampa locale, quella che opera sul territorio con strutture medie o piccole, ha visto improvvisamente disdettate centinaia e centinaia di contratti di pubblicità a causa della crisi sanitaria. Noi viviamo di quello. Il Governo ha stanziato dei fondi a favore della stampa locale, ma il Regolamento DPR 146/17 essenzialmente li dirotta verso cento emittenti più strutturate, che vantano dati di ascolto Auditel mai certificati dall’Autorità delle Comunicazioni AGCOM e organici molto discutibili di cui nessuno verifica la provenienza. Cinquanta milioni di euro sono andati quindi ai più attrezzati ed altri venti sono in arrivo, sempre a favore delle realtà riconosciute dal DPR 146/17. Nel frattempo, le piccole e medie emittenti muoiono nell’indifferenza generale.
Di che numeri parliamo?
Parliamo di 1700 emittenti che occupano circa 5000 lavoratori e che, in condizioni di mercato normali, movimentano 2 miliardi di indotto annui in inserzioni pubblicitarie. Ma con il -90% di income pubblicitario realizzato nel 2020 rispetto al 2019 e con i pochissimi inserzionisti che oggi rinnovano i contratti (e chi lo fa, dà poi seri problemi di incasso), moltissime realtà chiuderanno (1200 emittenti versano già in condizione prefallimentare) e migliaia lavoratori perderanno il lavoro. Il Covid si è innestato comunque in una situazione di per sé complicata e perdurante da tempo.
A cosa si riferisce?
Entro giugno 2022 verrà completato il processo di conversione del digitale terrestre a tecnologia DVB-T2, ma molte delle realtà da noi rappresentate, già fiaccate dal Covid, non avranno dal Ministero frequenze e canali per operare una migrazione definitiva alla nuova tecnologia digitale. Per i superstiti caleranno gli ascolti (linfa vitale per le emittenti) perché si valuta che circa 45 milioni di televisori non saranno abilitati al nuovo standard T2 e, nonostante il pannicello caldo del bonus per i decoder stanziato dal Governo, qualche milione di famiglie non avrà le risorse per acquistare un nuovo televisore o si limiterà a cambiare un apparecchio sui 2/3 presenti in casa. Questo inciderà nuovamente sul destino del nostro comparto.
Quali iniziative avete intrapreso per far sentire la vostra voce?
Le interlocuzioni con il Ministero di riferimento sono purtroppo inconsistenti: le norme cambiano di continuo e non di rado in maniera illogica. Uno stallo frutto della scarsa conoscenza del settore da parte di chi fa le regole: del resto non esistono più da anni i tavoli di concertazione e la politica è di fatto assoggettata ai tecnici del ministero, che a loro volta seguono le grandi lobby. I network di comunicazione sono del tutto accentrati: le nostre frequenze ad esempio sono passate alla telefonia mobile con il 5G, mettendo al riparo Fininvest e RAI che hanno conservato le loro posizioni dominanti nella comunicazione. Lo dico nettamente: è a rischio la libertà d’informazione.
Il 10 giugno 2021 avete indetto, come REA – Radiotelevisioni Europee Associate, unitamente al sindacato dei lavoratori LibersindConfsal, una grande manifestazione contro la mafia bianca: quali sono i veri ‘colletti bianchi’ nemici delle piccole emittenti?
In Italia si pensa spesso che grande sia bello e che tutto il resto debba essere spazzato via. Se il terzo potere mediatico del sistema Italia, quello delle telecomunicazioni e della stampa, finisce di fatto col reprimere quel pluralismo che – me lo lasci dire – à rappresentato delle emittenti locali attive sul territorio, vorrà dire che “il pensiero unico” che denunciamo da anni non è una teoria cospirazionista, ma una realtà imposta da quella scellerata politica neoliberale per la quale, per pura cupidigia, è stato calpestato sia l’articolo 21 della Costituzione sulla libertà di pensiero, sia l’articolo 41 sulla libertà d’impresa. E’ necessaria una rivisitazione strutturale del comparto che tenga conto di quei valori costituzionali ormai persi.
Cosa chiedete quindi al Governo?
Aiuti per le voci libere dell’informazione che operano sul territorio, sostegni economici immediati, riassetto complessivo del settore radiotelevisivo (a partire dal mai risolto conflitto di interessi che grava sul comparto) e contratti di lavoro sostenibili, che ci permettano di continuare a fare giornalismo di qualità.
Qual è il problema sul fronte contrattuale?
Il CCNL dei giornalisti è finanziariamente insostenibile per gran parte delle nostre realtà. Esistono però altri contratti di lavoro che si possono applicare in deroga, purché l’Ordine dei Giornalisti li autorizzi: invito quindi Conflavoro ad aprire rapidamente un dialogo con l’OdG ed a stilare un contratto integrativo di quello già in essere tra REA e LibersindConfsal, equo, dignitoso e sostenibile per i bilanci delle emittenti locali, in modo da garantire la massima occupazione dei giornalisti.