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Una ventina di lavoratori della ditta costa maura, l’impianto di rifiuti che ha preso fuoco la scorsa settimana e ancora sotto sequestro dopo l’apertura delle indagini, hanno manifestato pacificamente questa mattina davanti alla prefettura di Massa Carrara chiedendo lavoro, dignità e autorizzazioni sicure e durature dalla provincia di massa carrara. Hanno portato cartelli, coperchi di pentole e un camion dei rifiuti in piazza aranci per far sentire tutta la loro rabbia, visto che l’impianto andato a fuoco domenica scorsa è ancora sotto sequestro, tutto chiuso,anche se la parte bruciata è soltanto una e si potrebbe lavorare tranquillamente il cdr e visto che stanno usufruendo delle loro ferie e permessi per far fronte alla mancanza di ammortizzatori sociali a loro disposizione. essendo una multi servizi infatti non hanno diritto alla cassa integrazione straordinarie e possono usufruire solo di quella in deroga, concessa dalla regione toscana e che dura soltanto 3 mesi. La regione ha accettato venerdì scorso di fare da cuscinetto per questi tre mesi ma l’ufficialità arriverà soltanto a settembre. Alla manifestazione di protesta, c’era anche una delle titolare della ditta, Silvia Costa che ha ribadito come assieme ai dipendenti siano una grande famiglia: se la ditta chiude, ha dichiarato, ci rimettiamo tutti, operai, titolari e cittadini perché i prezzi per lo smaltimento aumenteranno e non si avrà più la garanzia di un servizio come il nostro.

A seguire la vertenza c’era la sindacalista dell cisl Linda Bonatti che ha ribadito la necessità di fare presto con gli ammortizzatori sociali,ma soprattutto con la riapertura dell’impianto. C’è grande conflitto sociale,ha dichiarato, spesso strumentalizzato dalla politica. l’impianto è sicuro e ha tutte le certificazioni che lo dimostrano. Non c’è pericolo per la popolazione né per la loro salute. Sappiamo che non produciamo profumo o cioccolatini, ma forniamo un servizio di cui non si può fare a meno. A gente spesso non sa di cosa sta parlando,le si fanno credere cose che non esistono e a rimetterci saranno soltanto 50 famiglie lunigianesi