L’8 febbraio 1945 Massa venne bombardata per l’ultima volta: questa volta l’obiettivo fu il centro cittadino. Furono colpite le abitazioni di Piazza Aranci, la Chiesa di S. Sebastiano, il quartiere della Martana, il monumento di piazza Mercurio. Numerose (senz’altro più di dieci) le vittime. Va ricordato che non sempre i bombardamenti avevano obiettivi strategici e militari ben definiti: in una guerra totale, terrorizzare la popolazione civile viene considerato un obiettivo militare, da perseguire senza scrupoli.
Complessivamente si calcola che per cause di guerre (bombardamenti, ma anche mitragliamenti e cannoneggiamenti) a Massa siano deceduti decine di civili. Parecchie centinaia di civili (oltre 700) furono inoltre rastrellati, deportati in Germania dai tedeschi, e destinati al lavoro coatto.
SABATO 8 FEBBRAIO IN PIAZZA ARANCI MANIFESTAZIONE PER RICORDARE
Da “Diario di un non sfollato” di Vittorio Jannello (per gentile concessione di Franco Frediani)
Il giorno otto febbraio, al fittissimo cannoneggiamento iniziato da una settimana, si aggiunse uno spaventoso bombardamento ad opera di caccia-bombardieri alleati, che causò molte vittime e molte devastazioni nel centro della città. Una bomba colpì una casa molto vicina alla mia e causò la morte di tutta la famiglia dell’amico Tonio (Conte) e di altre cinque o sei persone. Erano circa le otto del mattino. Da una ventina di giorni avevamo allestito il dormitorio a pian terreno, nell’androne, perché varie cannonate avevano scoperchiato il tetto e danneggiato in più punti i pavimenti; perciò anche quel primo piano che era sembrato così sicuro un paio di mesi prima, era diventato pressoché inabitabile. Quando sentimmo la picchiata dell’aereo saltammo tutti in piedi contemporaneamente; ormai dormivamo tutti completamente vestiti. Il portone d’ingresso si spalancò quando le bombe esplosero al di là della piazzetta e fummo investiti da una gran nuvola di polverone: non si vedeva più nulla né si poteva più respirare. Mi precipitai nella strada per tentare di vedere, se come pensavo, fosse stata colpita la facciata della mia casa. Non riuscii a vedere nulla. Senza perdere tempo acchiappai mia madre sotto il braccio e, quasi sollevandola, presi rapidamente la fuga verso Volpigliano.
Proprio in quel momento quei fetentissimi caccia che avevano sganciato le bombe, ripetevano le loro picchiate mitragliando furiosamente. Al rumore spaventoso degli aerei, alle lingue di fuoco che uscivano dalle loro mitragliere, si accompagnava una copiosa pioggia di bossoli che ci scrosciavano intorno fortunatamente senza colpirci. Ricordo mia madre che istintivamente cercava di proteggere le nostre teste con la borsa che si portava sempre dietro e nella quale teneva qualche soldo e qualche oggetto d’oro. Quando ci fermammo eravamo nell’oliveto dei Perfetti, oltre la via Nuova, e fummo accolti in un rifugio ricavato nella roccia. Dopo pochi minuti, lasciata mia madre al sicuro, tornai all’aperto per cercare di vedere cosa stava succedendo. Lo spettacolo che si poteva osservare da quella posizione, era impressionante. Numerosi caccia-bombardieri volteggiavano sempre sulla città mitragliando e spezzonando. Ne giunsero poi degli altri che presero di mira la parte bassa della Brugiana con dei lattoni incendiari che al contatto del suolo sprigionavano lunghissime lingue di fuoco. Negli intervalli tra un bombardamento e l’altro, le artiglierie alleate mandavano scariche abbondantissime di proiettili. Era un tambureggiamento continuo. I tedeschi misero in funzione i grossi calibri della Punta Bianca; dopo grandi fiammate si avvertiva il fruscio dei grossi proiettili che transitavano diretti al Cinquale ed oltre; all’arrivo si sentivano dei poderosi tonfi. E furono proprio queste cannonate tedesche, come si seppe in seguito, ad impedire l’avanzata degli alleati perché colpirono molti carri armati e terrorizzarono e misero in fuga le avanguardie.
Nel pomeriggio, soltanto i tedeschi continuarono a cannoneggiare. Gli alleati si calmarono. La sera stessa da Radio Londra, apprendemmo che “un tentativo di sfondamento della linea Gotica non era riuscito”.
Da ” Massa sulla linea gotica ” di Ezio Miniati
Quando sbircio dal portone verso la piazza, alle 9, mi accorgo che le cannonate della notte hanno spazzato via l’orologio della Fabbrica. Erano da poco passate le dieci ed il pianino del rifugio sotto gli aranci, un pianino scordato che i tedeschi avevano sequestrato, non suonava ancora. Dov’era il soldatino biondo che lo pestava tutti i giorni prima di uscire all’aperto e rivolgersi verso il cielo ? Si, perché quando il sole era già alto e gli aerei alleati ronzavano a mulinello sopra la piazza, il soldatino biondo se ne sortiva dal rifugio e, quasi a sfida, sparava moschettate verso l’aviatore cattivo. Il pianino, quella mattina, non suonava. Da poco era passato il carrettino della Pubblica Assistenza. Il macellaio della Conca, s’era già affrettato a vendere la misera razione di carne di cavallo a più della metà dei duecento superstiti dello sfollamento che agonizzavano nella martoriata città. D’un tratto, proveniente da sud, ecco il ronzio degli aerei alleati. “Saranno le solite ricognizioni” pensavamo. Anche il soldatino biondo della Wehrmacht avrà pensato così. Il pianino taceva sempre e dall’apertura a sud-est della Piazza, di fronte alla cartoleria Berti, saliva tenue e nera la fumata delle cucine per i soldati. Poi, il ronzio si fece più forte, divenne coro e fu un coro insistente che quasi presagiva un pericolo incombente. Un pericolo che però nessuno avvertiva quasi che, per intima convinzione, si potesse evitare un disastro.
La bella Piazza, nuda e deserta nel pallido sole di febbraio, pareva preludere ad un magico ritorno dei bei tempi. Il bel soldatino biondo venne fuori proprio quando i primi tre aerei piombavano a capofitto sulla Piazza. Furono istanti tragici. La cantina dove ci eravamo rifugiati tremò tutta di colpo, ed i muri, e le stanze di sopra, tutto parve crollare sotto un unico schianto. Il bombardamento di Massa, della sua bella Piazza, era concluso. Dopo la prima ed unica ondata, nessuno ebbe il coraggio di uscire fuori. Un grande accecante polverone, il rumore delle cose che cadevano, gli squarci di luce che ci facevano intravedere persiane frantumate, vetri e calcinacci, rendevano l’atmosfera spaventosa ed irreale.
Sopra di noi, alla Conca, erano caduti tre stabili. La Chiesa di San Sebastiano era stata squartata come una immensa balena ferita a morte. Il bel palazzo Giorgini era ridotto a due tronconi informi e dappertutto era rovina e desolazione. Gli aerei continuavano a ronzare, ma per almeno cinque minuti non avrebbero sganciato di nuovo fintanto che la grossa nuvola dell’esplosione si fosse diradata. Avevamo quattro o cinque minuti di tempo per mettere in salvo la pelle. Presi per mano mia madre, lasciando da parte tutto ma portando con me la grossa valigia di cuoio contenente il denaro e le gioie. Salimmo lungo una scala sopra il muro degli Svizzeri, entrammo nell’abitato del dottor Magnani, infilammo un portone da Cancogni e sbucammo in via Cairoli. Furono momenti indimenticabili. Raggiungemmo il rifugio della Martana. Quando un’ora e mezzo dopo tornammo nella piazza, dappertutto era rovina : ciotoli, canale, persiane, calcinacci e sangue. Il bel soldatino biondo che aveva osato sfidare il cielo con quel suo sconquassato moschetto, l’uomo del pianino, giaceva adesso, esanime, riverso senza più vita dietro un leone. Dalla vasca, un’acqua putrida gli bagnava le mani . Quella terribile mattina dell’8 febbraio 1945 non la dimenticherò mai”.