Il progetto del marchio del marmo sarebbe stato  per così dire “impallinato” in quanto avrebbe favorito soprattutto l’escavazione configurando un distretto esclusivamente minerario senza tener conto della eventuale lavorazione in loco. Per i blocchi insomma diverrebbe possibile utilizzare il marchio “marmo di Carrara” ma, contemporaneamente, di quest’ultimo potrebbero avvalersi anche manufatti realizzati usando marmo locale ma lavorati altrove. In questo modo la normativa comunitaria offrirebbe garanzie  e “protezione” al prodotto semplicemente in quanto escavato. Per salvaguardare anche il lavorato quindi Laquidara torna a proporre l’utilizzazione della De.co., cioè della Denominazione Comunale, certificazione questa che potrebbe rilasciare appunto solo l’Amministrazione. “Tutto ciò sarebbe certamente in grado di garantire con chiarezza la qualità del prodotto magari attraverso tre distinte definizioni”, afferma il consigliere illustrando le possibili diciture: “marmo estratto a Carrara, marmo lavorato a Carrara, infine marmo estratto e lavorato a Carrara, che rappresenterebbe quest’ultima la garanzia  più prestigiosa. Ammettendo la necessità di studiare l’idea in modo più approfondito per quanto riguarda la sua applicazione, Laquidara afferma anche di aver preso atto di quanto una simile proposta, seppur più volte avanzata, non abbia mai ricevuto alcuna considerazione. Il consigliere chiede quindi all’Amministrazione risposta scritta all’interpellanza avanzata, di modo che, afferma, ognuno abbia ben chiara la posizione assunta dai singoli attori politici. “Chiedo inoltre”, prosegue, “che cosa pensino il Sindaco e la giunta circa la possibilità di introdurre il riconoscimento in esame nel Regolamento degli Agri Marmiferi, estendendo la richiesta anche alla Commissione Marmo che dovrebbe assolutamente occuparsene. Se a Carrara si dispone ancora di un evidente prestigio, il Comune ha  il dovere di fare la sua parte per difenderlo, e la De.co sarebbe in questo senso un’ottima opportunità”.