Grosse operazioni antidroga, effettuate spesso da militari sotto copertura, che sarebbero andate oltre il lecito, con chili di sostanza stupefacente (per lo più cocaina) venduti dagli stessi carabinieri del Ros per poter arrestare altri narcotrafficanti. È questa la tesi accusatoria su cui si regge il processo che si sta celebrando da anni a Milano e che ieri ha imboccato la strada della conclusione con le richieste di condanna avanzate dal pm, pene molto severe quelle invocate dal pubblico ministero, soprattutto nei riguardi dell’ormai disciolto nucleo del Ros bergamasco. Centotrentatré in totale gli anni chiesti per i sei carabinieri (alcuni di questi col tempo si sono congedati) che all’epoca lavoravano in via delle Valli: un maresciallo allora comandante della sezione Ros di Bergamo; un generale e il suo braccio destro. Per la maggior parte dei 18 imputati le accuse, a vario titolo, sopravvissute alla prescrizione sono quelle dell’associazione per delinquere e del traffico internazionale di sostanze stupefacenti. Con gli anni sono infatti «caduti» i reati minori. Gli episodi sono molto datati, l’inchiesta era partita nel ’97 dalle dichiarazioni di un pentito romano. A processo aveva testimoniato anche il procuratore aggiunto di Milano Armando Spataro. Il magistrato aveva ricostruito in aula un’operazione che, su suo mandato, nel 1994 aveva portato al sequestro di 200 chili arrivati al porto di Massa Carrara e provenienti dalla Colombia. La droga fu tenuta in consegna per diversi mesi al comando Ros di Roma, in attesa di arrestare i destinatari milanesi della partita.