Walter Quattrociocchi Il ricercatore dell’Imt di Lucca: smentire le bufale è inutile

“Volete le scie chimiche? Tenetevele. Non esiste argomento che possa far desistere qualcuno dal credere che le tracce che segnano il passaggio degli aerei non siano vapore acqueo ma agenti chimici rilasciati nell’atmosfera per gli scopi più misteriosi. Anzi: i tentativi di smontare questa convinzione non fanno che suscitare l’effetto contrario; cioè vengono visti anch’essi come parte del complotto per nascondere la vera verità. In altre parole, chi crede alle scie chimiche, non farà che trovare ragioni per rafforzare la sua certezza.

Walter Quattrociocchi mette in guardia: questo fenomeno non riguarda un gruppo sociale specifico, una tribù di cultori della bufala con l’anello al naso; ma è un meccanismo che — chi più chi meno — scatta dentro tutti, quando parliamo di calcio, di Brexit o di immigrazione. «Siamo portati — spiega — a selezionare le informazioni che confermano le nostre convinzioni e a scartare tutto il resto».

Quattrociocchi, 37 anni, è coordinatore del laboratorio di Scienze sociali computazionali all’Imt di Lucca. Nato ad Albano Laziale, un dottorato tra Siena e Ottawa, ha lavorato alla Northeastern University di Boston, al Cnr e da 4 anni a Lucca concentra la sua ricerca sui social network e i meccanismi di propagazione delle bufale. Un tema che, dall’elezione di Trump, non ha più smesso di agitare un dibattito globale, sollecitando l’intervento dei big player dell’informazione come Facebook e Google e ora anche dei governi, come quello tedesco che vuole introdurre una severa normativa ad hoc.

Nel 2015 fece scalpore uno studio in cui Quattrociocchi dimostrò che su Facebook il mondo degli “informati” e quello dei “complottisti” sono impermeabili e che, appunto, quando un membro dei disinformati intercetta una notizia che tende a smontare la sua convinzione, finisce per crederci ancora di più. Di recente ha pubblicato su “Proceeding of the National Academy of Sciences” un seguito della ricerca. Concentrandosi stavolta sul comportamento degli utenti di Facebook di fronte alle notizie diffuse dagli organi di informazione “certificati”. Uno studio che ha esaminato 376 milioni di utenti su 920 pagine Facebook di testate giornalistiche. «Emerge una conferma dei risultati precedenti. Cioè, indipendentemente dalla narrazione, l’utente tende a polarizzarsi, a concentrare l’attenzione su pochissime fonti di informazione e a non cambiarle mai».

Un fenomeno chiamato “esposizione selettiva”. Come funziona? «Nel mare magnum di internet, ciascuno trova l’informazione che più lo aggrada e in questo contesto incontra persone che la pensano allo stesso modo. S’innesca così un meccanismo di rinforzo. Per cui si creano dei gruppi d’interesse attorno a narrative condivise, all’interno dei quali informazioni coerenti vengono acquisite anche se false: le chiamiamo “camere dell’eco”».

Cosa pensa delle iniziative che puntano a “smontare” le bufale attraverso la verifica-dei-fatti (fact-checking)? «Sono anch’esse un esempio, pur paradossale, di camera dell’eco. I giornalisti pensano che il fact-checking risolva il problema delle notizie false. Una convinzione tanto radicata da spingere a istituire la giornata del fact-checking (lo scorso 2 aprile, OES). I nostri studi dimostrano che è un’attività inutile ai fini pratici, perché nessuno di coloro che credono alle bufale cambierà idea».

È una conclusione drastica. «Accettare che il fact-checking è inutile significa ammettere che il giornalismo come è stato concepito fino a dieci anni fa è in macerie.

Non esiste più mediazione tra notizie e lettori. Non esiste una credibilità, se non in funzione della narrazione che un utente vuole ricevere. Perciò chi diffonde notizie false ha campo libero». Prendiamo il caso dei vaccini e di chi li ritiene dannosi. «L’errore è presumere che un’informazione attendibile venga considerata tale. Ma gli esseri umani acquisiscono informazioni passando per filtri psicologici ed emotivi. Se una madre ha paura di vaccinare il figlio crederà a chi le racconta che i vaccini fanno male. Il fatto che gli effetti collaterali negativi di un vaccino sono statisticamente infinitesimali non conta. Se esiste un solo caso, per lei varrà il 100% delle probabilità».

Eppure i vaccini debellano le malattie. Lo dice la scienza. Come si fa a non crederci? «È esattamente questo atteggiamento che non funziona. Arroccarsi in un ruolo istituzionale, salire su un piedistallo, convinti che la verità abbia un valore di per sé. Non è così. Non convincerà quella madre dicendole che è un’irresponsabile».

Quindi? «Quindi bisogna attivare altre leve psicologiche per vincere la resistenza del pregiudizio. La mia idea è creare insieme a giornalisti, scienziati e istituzioni una fondazione, un osservatorio scientifico che consenta di elaborare un linguaggio, una strategia di comunicazione capace di rompere questo guscio».

Internet non doveva renderci più informati, liberi, aperti? «Questa era la retorica entusiasta all’inizio della rivoluzione digitale. Invece il risultato è stata un’ulteriore segregazione. Siamo divisi in tribù, Internet è la Torre di Babele su cui vivono gruppi che condividono gli stessi spazi ma parlano lingue diverse e tendono a comunicare solo all’interno della loro cerchia». 

di DANILO FASTELLI  -Il Tirreno-