«Impossibile rendersi conto al telefono delle reali condizioni di un paziente». Lo ha detto Stefano Pierotti, medico legale di parte civile, nel processo che vede alla sbarra il pediatra Giorgio Biava, accusato di omicidio colposo per la morte di Irene Del Monte , la ragazzina scomparsa nel febbraio del 2013, in seguito alle complicazioni dell’influenza. Pierotti ha snocciolato anche le statistiche che riguardano la fascia d’età di Irene: gli under 18 se portati in ospedale per sindromi influenzali hanno un’altissima percentuale di salvarsi, qualunque tipo di complicazione possa presentarsi. Le dichiarazioni del medico legale vanno a irrobustire le accuse mosse nella scorsa udienza da un luminare, interpellato dai Del Monte per fare chiarezza dopo una serie di perizie che si contraddicevano tra di loro. «Se Irene fosse stata portata in ospedale, lì l’avrebbero ventilata e avrebbe superato la crisi polmonare che poi l’ha uccisa nel suo letto. Soltanto il pediatra con una visita a domicilio poteva accorgersi della gravità della situazione», aveva detto Gaetano Thiene, specialista in malattie cardiovascolari. Biava, difeso dall’avvocato Adriano Martini, invece non andò mai a casa di Irene, limitandosi a prescrivere un antipiretico e a spiegare alla mamma della ragazzina quante volte somministrarlo. Nel giro di pochi giorni le condizioni della piccola non solo non migliorarono, ma peggiorarono. I polmoni erano talmente infiammati che smisero di funzionare.

Davanti al giudice Fabrizio Garofalo venerdì 8 si è presentato anche un altro medico: Andrea Cavazzana, primario dell’unità operativa di Anatomia patologia dell’Asl1. Era stato lui a supportare il medico legale Maurizio Ratti per l’autopsia disposta dal pubblico ministero Rossella Soffio. Cavazzana aveva eseguito gli esami istologici sui campioni sezionati da Ratti stabilendo che la causa del decesso era da ricercarsi in una alveolite. Ma lo specialista, incalzato dai legali che rappresentano i Del Monte, gli avvocati Francesco Persiani eMaria Grazia Menozzi, è parso decisamente scettico sulle possibilità che aveva il pediatra di capire con la visita a domicilio che Irene fosse in pericolo di vita. Mentre Thiene e Pierotti insistono nel dire che guardando il pallore del viso e la disidratazione della cute della paziente avrebbe intuito che era qualcosa di ben più grave di un’influenza.

Insomma, se si considera che un terzo perito aveva stabilito che la dodicenne era morta per una miocardite, che aveva causato l’edema polmonare, dal punto di vista peritale ci sono parecchie contraddizioni. Con i consulenti di parte civile che puntano il dito contro Biava e quelli dell’accusa che pensano più a una tragica fatalità molto difficile da diagnosticare. In mezzo un giudice che dovrà districarsi in questa miriade di termini tecnici. Probabile quindi che Garofalo nomini un perito di sua fiducia prima di chiudersi in camera di consiglio per decidere se condannare o assolvere il pediatra.

Si torna in aula l’11 marzo, sarà la volta di Biava raccontare cosa è successo quando la mamma di Irene lo ha chiamato e soprattutto spiegherà perché non è andato a casa della ragazzina.

 

il tirreno