C’è il Bambù, la Donna africana scolpita nel nero delle Apuane, e Il paradiso terrestre in travertino toscano. Opere uniche, firmate da Carlo Sergio Signori, scultore milanese che, nel 1946, scelse Carrara come patria artistica e già allora lavorava nei leggendari laboratori Nicoli. Ora, però, quel patrimonio rischia di scomparire.
Circa venti sculture – insieme a dipinti dell’artista, che agli esordi a Parigi fu anche pittore – potrebbero lasciare la città, vendute al miglior offerente. Un’ipotesi che preoccupa profondamente cittadini e appassionati, pronti a mobilitarsi per evitare quello che definiscono un vero e proprio “scippo” culturale.
Le opere, di proprietà della vedova Fumié Kakinuma – oggi anziana e impossibilitata a gestire il lascito – giacciono da tempo, imballate e invisibili al pubblico, in un magazzino in località Gildona. Per questo, un gruppo di carraresi – tra cui Enrico Marselli, Fabrizio e Dino Geloni, Romano Bavastro e Maresa Pucci – ha lanciato un appello accorato: «Che sia il Comune, che siano imprenditori locali, l’importante è che questo grande tesoro venga acquistato e restituito alla città».
L’obiettivo è semplice quanto ambizioso: evitare che le opere prendano altre strade e farle tornare visibili, esposte in spazi pubblici a Carrara, città che Signori ha celebrato con capolavori come la Colomba della pace in piazza II Giugno e il Monumento ai Fratelli Rosselli (1948), scolpito in Bianco Statuario.
Il valore stimato dell’intero lascito è di circa 500mila euro, secondo la valutazione del critico Massimo Bertozzi. Se le istituzioni, per limiti di bilancio, non potessero intervenire, la speranza è che siano i privati – magari proprio gli imprenditori del marmo – a unirsi per un gesto di mecenatismo collettivo.
Carrara ha già dato tanto all’arte. Ora è il momento di restituire, salvando una parte importante della sua identità culturale.