La sua mamma era sveglia e lo ha visto venire al mondo: era addormentato il suo addome, lo erano le gambe. Ma non i suoi occhi, non il suo cuore.
Lui, fiorentino, ha scoperto la vita due mesi prima del previsto, a 32 settimane di gestazione, quando per combattere aveva dalla sua soltanto un chilo e 800 grammi. Ma ce l’ha fatta grazie alla collaborazione tra Opa (Fondazione Monasterio) e medici Asl e ad un’operazione che è magia per chi non conosce la medicina.
Il bimbo ha una cardiopatia, mamma e papà lo scoprono quando lui è ancora nel pancione. A 32 settimane di gravidanza, però, succede qualcosa e quel piccolino dà segni di malessere, malessere così grave che i medici temono che non ce la faccia, i suoi polmoni si stanno riempiendo di liquido. Decidono di tentare il tutto per tutto, di fargli scoprire che anche fuori dal pancione c’è del bello. In sala cesareo, nel maggio scorso, ci sono 20 professionisti: per quell’ometto di un chilo e 800 grammi e per la sua mamma. Il bimbo non potrebbe respirare, tutto quel liquido nei polmoni glielo impedirebbe: non può nascere e respirare da solo, nè, così piccino, può essere attaccato ad una macchina cuore- polmoni che ossigeni il suo sangue. Ma l’alternativa c’è: per lui respirerà la sua mamma.
I medici fanno un cesareo, aiutano il bambino ad affacciarsi alla vita: la testa del neonato e il suo torace piccolo piccolo scoprono il mondo, il resto del corpo rimane, però, dentro mamma. E soprattutto rimane attaccato alla placenta perché mamma respiri e ossigeni il suo ometto. Un intervento straordinario dal nome evocativo: exit (uscita). un’operazione che solo 10 ospedali al mondo sono in grado di fare. Mentre la mamma respira, i medici prelevano il liquido dai polmoni, il corpicino è gonfio, come segnato da un grande edema. Ma il piccolo, sotto lo sguardo della madre, ce la fa, così bene che non ha bisogno di essere intubato. Combatte ancora con la sua patologia cardiaca, ma ha imparato a mangiare e ha raggiunto i tre chili.
Un successo firmato Asl 1 e Monasterio: «La famiglia si è rivolta a tre ospedali – racconta il dottor Antonio Ragusa, primario di ostetricia – siamo felici di essere riusciti a dare risposta. Ci sono momenti in cui l’umanità dà grandi prove di sè, questa operazione è stata una di quelle prove»
il tirreno