farinaE’ la farina più antica del mondo ed è stata scoperta in Toscana. La scoperta, che rivoluziona le conoscenze sugli uomini del Paleolitico e sulla loro alimentazione, è stata presentata questo pomeriggio a Firenze, durante un evento, intitolato “La prima farina in Toscana- Alle origini dell’alimentazione” , volto ad approfondire il tema dell’evoluzione dell’alimentazione, che si è tenuto a Palazzo Strozzi Sacrati e inserito nella cornice di Expo 2015. E’ una storia di 30 mila anni fa e nasce nella zona di Bilancino, dove, sulle rive della Sieve, una gruppo di homo sapiens ebbe un suo insediamento temporaneo. Passarono i millenni e negli anni 1995-1996, prima che la zona finisse sotto le acque dell’invaso di Bilancino, un gruppo di ricerca archeologica guidato da Biancamaria Aranguren della Soprintendenza Archeologica della Toscana in collaborazione con Anna Revedin dell’Istituto Italiano di Preistoria e Protostoria, effettua la scoperta.

A Bilancino l’insediamento di un gruppo di homo sapiens: avevano pietre a forma di macina

Nel luogo che ospitava l’abitato di quegli uomini e donne del Paleolitico, frequentato una sola volta e sigillato dal limo della Sieve, si trovarono delle pietre che, all’occhio esperto delle archeologhe, avevano tutta l’aria di essere una antica macina e un pestello. Nella mente delle studiose si accende una lampadina: si decide di non lavarle e analizzarle al microscopio elettronico e al carbonio 14, metodo che viene applicato anche ai carboni del focolare ritrovato sul posto. E l’analisi rivela la scoperta: sulle pietre ci sono tracce di amido, il carbonio 14 permette la datazione a 30 mila anni fa.

“Una scoperta che rivoluziona le conoscenze sull’alimentazione umana – sottolineano Aranguren e Revedin – perchè finora era opinione corrente che le popolazioni nomadi di cacciatori-raccoglitori del Paleolitico superiore fossero essenzialmente carnivore. Il rinvenimento a Bilancino di un macina e di un macinello-pestello datati al C14 a 30 mila anni fa e la presenza su di questi di granuli di amido, rappresentano la più antica testimonianza diretta non solo dell’uso alimentare delle piante ma soprattutto di una vera e propria “ricetta” per la preparazione di un cibo di origine vegetale”. Ma di cosa erano quei granuli di amido? Grazie alle analisi, condotte fra il 2005 e il 2007 dal Dipartimento di Biologia Vegetale dell’Università di Firenze, sono stati identificati in particolare amidi di varie piante ma soprattutto di Typha (Tifa), detta anche stiancia o mazza sorda.

Dalla Tifa, una pianta palustre, si ricavavano gallette o farinate ad alto valore nutritivo

La Tifa è una pianta palustre molto comune, dalle sue foglie si ricavavano fino a pochi anni fa fibre per l’intreccio di corde, stuoie e “sporte” ecc., mentre i rizomi erano utilizzati a scopo alimentare in molti paesi extra-europei.

Dopo la scoperta il gruppo archeologico ha voluto sperimentare la preparazione di un cibo fatto con farina di tifa, raccogliendo i rizomi, seccandoli, macinandoli ed infine preparando e cuocendo delle “gallette” di tifa su di un focolare ricostruito come quello scoperto negli scavi di Bilancino, che sono risultate di gusto gradevole.

“Le implicazioni di questa scoperta sono – ribadiscono Aranguren e Revedin – sotto molti aspetti rivoluzionarie: per la prima volta l’uomo aveva a disposizione un prodotto elaborato facilmente conservabile e trasportabile, ad alto contenuto energetico perché ricco di carboidrati complessi, che permetteva maggiore autonomia soprattutto in momenti critici dal punto di vista climatico e ambientale”.

Scoperta rivoluzionaria: in Toscana si lavorava la farina prima del Neolitico

“La scoperta – aggiungono – dimostra inoltre che l’abilità tecnica necessaria per la produzione di farina e quindi per preparare un cibo, gallette o una farinata, era già acquisita in Toscana molto prima della nascita dell’agricoltura nel Neolitico, legata ai cereali, che si sviluppò in Medioriente”. Le ricerche interdisciplinari, che hanno coinvolto numerosi specialisti come geologi, sedimentologi, petrografi, botanici, specialisti in tecnologia litica, informatici, hanno permesso di delineare la storia di Bilancino: si tratta di un accampamento stagionale di 30.000 anni fa che veniva frequentato nel periodo estivo per la raccolta e la lavorazione delle erbe palustri. E’ stato anche possibile ricostruire l’organizzazione interna dell’insediamento, identificando focolari, capanne, spazi adibiti alle attività quotidiane (preparazione del cibo, lavorazione delle pelli) e ad attività specifiche (lavorazion e delle piante palustri, produzione di strumenti in pietra) e infine spazi dedicati all’accumulo di rifiuti.”

E dopo Bilancino nuove conferme: trovate altre “macine” in Europa. L’ultima in Puglia

Dalla scoperta di Bilancino è nato un progetto di ricerca dell’Istituto Italiano di Preistoria e Protostoria coordinato da Anna Revedin, con il contributo dell’Ente Cassa di Risparmio di Firenze.

Principale obiettivo del progetto “Le risorse vegetali nel Paleolitico” è stata di verificare se le tecniche di macinazione di vegetali documentate a Bilancino fossero un patrimonio comune dell’umanità di 30000 anni fa. “Di solito queste pietre, poco appariscenti – spiega Revedin- vengono raccolte ed esaminate rapidamente alla ricerca di tracce di incisioni, spesso anche lavate con il risultato di una perdita quasi completa della possibilità di trovare microresidui.

La ricerca ha dato ottimi risultati: sono stati trovati e analizzati altri strumenti per la macinazione, provenienti dai più importanti siti europei della stessa epoca di Bilancino: Pavlov e Dolni Vestonice nella Repubblica Ceca, Kostenki nella pianura del Don in Russia, area famosa per aver restituito le veneri preistoriche, capolavori d’arte intagliati nell’ avorio delle zanne dei mammuth lanosi. Infine il ritrovamento più di recente e appena pubblicato su una rivista internazionale è quello nella Grotta Paglicci in Puglia”.

I quattro nuovi insediamenti paleolitici analizzati (i più importanti di questa epoca) ricoprono una vasta area geografica dall’Italia meridionale, alla Cecoslovacchia e fino alla Russia. “Questa tecnologia per la produzione di farina – continua Revedin- sembra quindi indipendente dai climi e dagli ambienti diversi nei quali vivevano i primi sapiens europei. In base allo studio dei granuli di amido ritrovati su queste pietre si è visto che veniva sfruttata una grande varietà di vegetali per la produzione della farina utilizzando differenti porzioni delle varie specie (radici, rizomi, grani e semi). Le farine ottenute probabilmente erano un po’ diverse da quelle che si ricavano oggigiorno dai cereali: erano ricche di fibre e carboidrati complessi, ma prive di glutine. A lavorarle erano le donne, mentre gli uomini si dedicavano alla caccia.

Cambia così lo scenario delle conoscenze sull’economia e la vita di 30.000 anni fa. Molte sono le implicazioni di questa scoperta. Dalla possibilità di conservare e trasportare un alimento altamente energetico, alla elaborazione di “ricette”, necessarie per rendere digeribili i carboidrati attraverso vari tipi di cottura- conclude – fino a ricostruire una complessa gestione delle risorse del territorio”.

Nuova luce sull’alimentazione umana: l’antenata della dieta mediterranea

La scoperta getta dunque nuova luce dal punto di vista della nutrizione umana, il focus dell’incontro odierno, coerente con il tema di Expo “Nutrire il pianeta, energia per la vita”: si apprende infatti che l’uomo del Paleolitico aveva nella sua dieta carboidrati complessi, sotto forma di farina, ma senza glutine. I nostri antenati, già 30 mila anni fa, si nutrivano di carne magra, frutta, verdura, semi e appunto, carboidrati senza glutine. L’aspetto legato all’alimentazione, che anticipa di migliaia di anni l’uso dei carboidrati, che oggi sono la base della dieta mediterranea, è stato illustrato da Giuseppe Rotilio, professore di Biochimica della nutrizione all’Università di Roma Tor Vergata.

L’evento “La prima farina in Toscana” è stato organizzato dalla Regione Toscana in collaborazione con l’Istituto Italiano di Preistoria e Protostoria, la più prestigiosa istituzione del nostro Paese in questo campo, l’Ente Cassa di Risparmio di Firenze, la Soprintendenza Archeologica della Toscana. La Regione aveva contribuito agli scavi archeologici mentre l’Ente Cassa di Risparmio di Firenze ha sostenuto le fasi ulteriori della ricerca dell’IIPP. Questi temi saranno anche oggetto di una mostra che si terrà a settembre nella sede dell’Ente Cassa, in via Bufalini a Firenze, e che rientra fra le iniziative della Toscana sui temi di Expo. Le conclusioni della giornata sono state effettuate dall’assessore regionale all’agricoltura che ha anche la delega per il coordinamento delle iniziative della Toscana per Expo 2015.