Fino alla prima metà degli anni ’90 la regolamentazione degli agri marmiferi si basava tutta sulle leggi promulgate tra il ‘700 e l’800 nella provincia di Massa e Carrara dalla reggenza estense che controllava il territorio apuano. Ad esempio una delle leggi regolatrici si basava su un editto di Maria Teresa del 1 febbraio 1751. Per collocarlo brevemente nella storia, qualche decennio prima della rivoluzione francese e in un epoca in cui il concetto di cosa pubblica era ancora lontano da venire. Più di distante. ma in pieno risorgimento e con le influenze della restaurazione, è il decreto di Francesco V nel 1846. Da allora in pratica cambiò poco nella regolamentazione dei bacini marmiferi finché nel 1995 la questione approdò alla Corte Costituzionale che entrò nel merito della legge regionale sui bacini marmiferi pronunciandosi contro e costringendo a rivedere i parametri delle concessioni. Il perché è presto detto “la legislazione estense è improntata a schemi privatistici”, si legge nella sentenza, e perché l’”interesse generale della collettività fruisce di una tutela solo indiretta e mediata (…) inadeguata a soddisfare le esigenze del pubblico interesse”. Fu l’apice che segnò il cambiamento delle regole per le concessioni dei bacini marmiferi dopo oltre 200 anni in cui nel frattempo l’economia era cambiata così come era cambiata la politica e la società. Forse, immutati, sono restati gli schemi privatistici.