Era il 1957 quando Roberto Pattina organizzava una sua personale alla Pro Loco di Marina di Carrara e, in quell’occasione, prima del lancio dello Sputnick, fu lanciato il manifesto della pittura astrale-atomica, spiegato a intellettuali, filosofi, studenti e scaricatori di porto. Oggi, a ben 53 anni da quel giorno, l’artista presenta ancora il suo mondo fatto di nebulose e pianeti lontani, in una mostra ancora in corso presso la libreria Bajini di via Verdi a Carrara. Le sue velature, spiega, sarebbero luci provenienti dall’interno, luci cosmiche appunto, come già si apprendeva dal Manifesto astrale, in cui si asseriva: “Con il radar della fantasia, noi realizzeremo colori astrali prima sconosciuti”. E da allora il cosmo assumeva un ruolo centrale, poiché l’intera esistenza umana non poteva più prescindere dalla sua collocazione e, permeato da tale nuova concezione, il Manifesto proseguiva: Noi non sappiamo se gli universi siano destinati a spegnersi. A questo dubbio contrapponiamo l’asserzione: “Siamo nell’Universo, dunque siamo”. L’artista Pattina non ce l’ha con tutta la nuova arte sia chiaro, bensì con quella che, a parer suo, non mira che a sollevare un dibattito che scaturirebbe da provocazioni che non nascerebbero dall’interesse per l’arte, ma solo una forma di moda, che corre parallela al profitto. Ed è per questo che il pittore ricorda il pensiero del poeta Etzra Pound quando affermava: “Oggi il nome democrazia è rimasto alle usurocrazie, se preferite una parola accademicamente corretta, ma forse meno comprensibile, che significa: dominio dei prestatori di denaro”. E allora, questo rifiuto della mercificazione dell’arte come del pensiero, si ritrova già in una poesia dell’artista, pubblicata nel 1962 su “Via Roma”, rivista di ricerca e cultura, ispirata dalla morte di Marylin Monroe, crudele simbolo del mito americano: “[…] Marylin, il trionfo e un’infinità di dollari. Flash, giornalisti, glamour girl. […] Oggi abbiamo odiato l’America, il suo dinamismo diabolico, la mitomania delle sue notti” […]