ib_p079_0_1Ubicata sulla via Carriona, in pieno centro storico, la settecentesca chiesa detta del Pianto o di Santa Maria delle Lacrime, uno degli esempi migliori di architettura religiosa del XVII sec in ambito locale verrà forse presto riaperta al pubblico, almeno durante lo svolgimento della Biennale. Il curatore Cavallucci infatti ha proposto di farvi esporre un nome ben noto fra i giovani emergenti: Giorgio Andreotta Calò, classe ’79 con all’attivo un buon numero di esposizioni, per lo più fotografie, performance ed interventi.  Artista certamente non classico Calò, che ama intervenire in spazi abbandonati, simulando centri di costrizione come è stato il caso del manicomio, o ancora spazi naturali; sempre comunque alla ricerca di un forte impatto emotivo attraverso un processo di prelievo di frammenti della realtà e di riappropriazione del paesaggio e della sua storia. L’idea dell’artista, come spiega Cavallucci, era quella di realizzare un monumento ai caduti del marmo: impossibile però realizzarlo con la dovuta partecipazione, quella cui è abituato, nel momento in cui interviene in luoghi a lui ben noti e vissuti personalmente, com’è il caso della sua Venezia. Da qui allora l’idea: per comprendere appieno la vita del cavatore è necessario vivere, almeno per un breve lasso di tempo, la sua stessa esperienza. Perciò Calò ha deciso di recarsi egli stesso in cava e restarci per una ventina di giorni, il tempo necessario per arrivare a procurarsi con le sue stesse mani un blocco di bianco. Sarà quello, frutto del suo lavoro, a rappresentare l’omaggio più partecipato ai cavatori, caduti nel tentativo di strappare con fatica alla montagna i suoi tesori.   E questa candida chiesa sembra proprio il luogo migliore per un intervento di questo tipo: il suo alone sacro posto proprio di fronte alla fontana, frutto di una leggenda, che la narra di una sirena che abbandonò la sua famiglia per risalire il torrente Carrione, affascinata dalla visione delle Alpi Apuane. Un luogo insomma che, come l’opera del giovane artista si colloca in bilico, sul confine precario ed instabile, tra immaginario e reale, sacro e profano.