Furono gli Stati Uniti a istituire per la prima volta, il 28 febbraio 1909, una giornata nazionale della donna: il partito socialista americano voleva onorare le partecipanti ad uno storico sciopero dell’anno precedente a New York per la tutela delle condizioni di lavoro. Le operaie dell’industria tessile Cotton protestarono per diversi giorni, ma proprio l’8 marzo, quando, il proprietario bloccò le uscite della fabbrica, allo stabilimento venne appiccato un incendio in cui morirono 129 operaie. Per questo, l’Internazionale socialista, riunita a Copenhagen, decise di istituire una Giornata dedicata alla donna per onorare il movimento per i diritti delle donne e per costruire un sostegno per realizzare il suffragio universale. Nel 1911 scesero in piazza più di un milione di persone e in piena Prima Guerra mondiale, dopo una protesta delle donne in Russia lo zar abdicò e il governo provvisorio concesse alle donne il diritto di voto. Era il 1946 quando l’Unione donne italiane, preparando il primo “8 marzo” del dopoguerra, ha adottato la mimosa come fiore simbolo di autonomia e libertà; poi nel 1975 le Nazioni Unite hanno iniziato a celebrare l’8 marzo questa ricorrenza, presto divenuta festa senza neppure più conoscerne la vera origine. Così sono arrivati le cene, i regali, i fiori; quest’anno si contano 15 milioni di ramoscelli di mimose donati in Italia per costi dai 5 ai 10 euro. Da alcuni sondaggi poi sembrano in testa alle classifiche dei regali smartphone, cellulari, pc, seguiti da asciugacapelli e piastre e fotocamere digitali, lettori mp3, forno a microonde, videocamere e via dicendo. Niente, in ogni caso, che abbia a che fare col vero significato di questa giornata, ormai passato in secondo piano.