Nel panorama dell’associazionismo italiano  pare non manchi proprio nulla tant’è che il terzo settore, dati Istat 2015 alla mano,  conta più di cinque milioni di volontari con una forza lavoro di 788 mila occupati nelle 340 mila associazioni operanti nei settori della sanità, dell’assistenza, dell’ambiente, del consumo, dello sport, della cultura, del sociale e della comunicazione territoriale e del web.  E’ una grande azienda no profit, paragonabile alle grandi aziende di produzione industriale e di servizi, che fattura 38 miliardi di euro con 3 miliardi di disavanzo reinvestiti in attività associativa (1). Eppure questo grande esercito di volontari sembra non esista e non conti sul piano politico e decisionale. Una forza di così gran portata potrebbe cavalcare la via del potere politico, visto e considerato che ogni  settore, dalle Confederazioni a vario titolo agli Ordini professionali,  lo ha fatto.

L’associazionismo italiano, rispetto a tanti partitini ad personam esistenti, potrebbe avere maggiori  possibilità di affermazione elettorale per insediarsi nel Parlamento in difesa  dei tanti diritti civili e sociali ignorati e spesso calpestati in deroga al dettato costituzionale sui diritti fondamentali dell’uomo come, ad esempio,  “l’avere un lavoro o una fonte di sostentamento, avere un tetto, il diritto al lavoro, il diritto a curarsi, allo studio, alla difesa legale e il diritto a informare ed essere informato” (2) .  Una formazione politico-partitica di estrazione associativa non sarebbe mal vista dall’elettorato e, tutto sommato, potrebbe spezzare quel cordone corporativo che attanaglia il Parlamento italiano prevalentemente composto da avvocati o ex magistrati, medici, giornalisti e industrialotti di vario genere i quali, a loro volta, sono oggetto di manovra dei relativi Ordini professionali e delle grandi Confederazioni del lobbismo italiano; lobbismo che non ha nulla a che fare con quello anglosassone.  Ma non sarebbe questa la giusta soluzione per sanare una democrazia malata come la nostra.

In verità, il movimento associativo organizzato non è esente dall’influenza delle varie correnti lobbistiche presenti nel Parlamento. Infatti  il pacchetto delle leggi che regolamenta la formazione e la tutela delle associazioni non lucrative e del no profit sono state concepite per mettere una campana di vetro intorno ai diritti di quelle associazioni direttamente o indirettamente collegate a interessi professionali o strettamente di partito.  Ovviamente, il riferimento è a quelle finte associazioni di consumatori e ambientaliste che siedono di diritto intorno ai tavoli istituzionali senza che sia mai stata verificata la loro  reale rappresentatività,  ma che hanno un potere erga omnes sulle decisioni oltre al   vantaggio di essere finanziati con  il danaro  dei contribuenti.

Un caso eclatante che farà storia nella giurisprudenza per il malcostume del lobbismo politico italiano è rappresentato dal Regolamento (DPR 146/17) per la ripartizione di cento milioni l’anno per il sostegno dello Stato al pluralismo informativo.

A beneficiarne, nella misura del 80,75% rispetto a 1500 soggetti, sono un pugno di imprese televisive la cui capofila è Confindustria comunicazioni presente nel settore con un numero insignificante di imprese associate. Si tratta di una trentina di imprese radiotelevisive locali,  ma che riesce a far valere in sede politica un potere sproporzionato grazie alla sua struttura sindacale orizzontale organizzata in associazioni lobbistiche settoriali tipiche di Confindustria.

Però, il mondo associativo italiano, quello verace dei diritti derivanti dai bisogni reali,  è tutt’altra cosa e i partiti farebbero bene a comprendere che la  loro decadenza è iniziata proprio con il lasciarsi sopraffare dal lobbismo degli affari corporativi di queste organizzazioni. Di fronte alla disgregazione sociale di cui siamo tutti testimoni e, in qualche misura tutti partecipi, è fondamentale risalire la china per il ripristino della buona politica e delle socialità solidale organizzata a cominciare dalla riqualificazione dei partiti attraverso la comunicazione diretta vertice-base con le popolazioni territoriali utilizzando i moderni mezzi di comunicazione italiani  unici al mondo come le  radiotv locali sparse in ogni luogo del Paese, in un permanente dialogo per lo sviluppo del metodo democratico nella ricerca del  soddisfacimento del bene comune.

I partiti tradizionali e le nuove formazioni politiche nazionali sono in crisi di identità essenzialmente per la loro assenza dal mondo territoriale del sociale. Allora perché non avvicinarsi a quel mondo ben rappresentato dall’associazionismo reale del Paese per ritornare ad essere protagonisti diretti del bene comune?

La domanda è  rivolta  ai Partiti dell’arco costituzionale i quali, dal 15 febbraio 2022  potranno disporre di 450 emittenti locali nello spazio del programma LA VOCE DELLA POLITICA  diffuso  in par condicio a livello locale e nazionale.

Cambiare dunque si può. Basta volerlo. La REA ci sta!

Ing. Antonio Diomede

Pres. REA – Radio Televisioni Europee Associate

Roma, 13 dicembre 2021

(1) Terzo settore – aspetti civilistici, contabili e fiscali (Colombo G.M. Setti Maurizio) IPSOA Guide Operative ed. 2020 aggiornato il 21 ottobre 21

(2) I sette diritti capitali – Rainero Schembri ed. 2018 – https://www.amazon.it/Diritti-Capitali-Mr-Rainero-Schembri/dp/1987556836