Mancano ormai meno di tre settimane alla data del 15 ottobre, termine ultimo in cui lo stato di emergenza proclamato dallo Stato italiano scadrà, con tutte le conseguenze del caso. In primis, come abbiamo ripetuto più volte in quest’ultimo periodo, verrà ripristinata la normativa vigente dello smart working, a meno che il ministro del Lavoro insieme al Governo nazionale non trovino un accordo con i sindacati o le aziende per una riforma strutturale del cosiddetto lavoro agile. Forse, però, se davvero c’era nelle intenzioni del Governo Conte studiare una nuova misura per rendere lo smart working più semplice, ci si sarebbe mossi in anticipo.

In campo l’ipotesi del prolungamento dello stato di emergenza fino alla fine del 2020

La ragione più credibile per cui il Governo nazionale non si sia mosso prima è da ricercare nel possibile prolungamento dello stato di emergenza fino al prossimo 31 dicembre di quest’anno, dopo aver interpellato entrambe le Camere del Parlamento e mettendo ai voti una risoluzione al fine di attivare i poteri attraverso cui poter affrontare la situazione in cui sta vivendo il Paese in modo efficace e tempestivo. A questo proposito, è utile sottolineare come ci si stia riferendo ovviamente ai Dpcm (Decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri), una forma prevista dalla Costituzione ma che già in passato è stata spesso contestata dall’opposizione di Centrodestra.

Cosa succede con lo slittamento della fine dello stato di emergenza al 31 dicembre

La prima conseguenza, tangibile, dello slittamento dello stato di emergenza fino al 31 dicembre 2020 è la possibilità da parte dei titolari delle aziende di imporre lo smart working in maniera unilaterale, senza cioè prima intavolare una trattativa con i dipendenti stessi.

Nei prossimi mesi, inoltre, il Governo avrebbe tutto il tempo per pensare a una nuova riforma seria del protocollo relativo allo smart working, così da introdurlo già a partire dai primi mesi del nuovo anno.