“Noi Massa la governiamo, non la comandiamo, la governiamo”. Dicevano così le persone arrestate nell’ambito dell’inchiesta della Dda di Genova e dei carabinieri di Massa su un giro di estorsioni aggravate dal metodo mafioso. In manette sono finiti Sergio Romano (53 anni, di Napoli), Giovanni Formicola (67, Portici), Carmine Romano (51, di Napoli), Massimo Di Stefano (57, di Catanzaro) e Fabrizio Micheli (46, Sassari). Ai domiciliari invece sono finiti Nicola Mari (35 di Massa) e Alessandro Puccetti (53, di Massa), dipendente della Provincia di Massa. Per non destare sospetti i 5 finiti in carcere avevano messo in piedi una società fittizia, la My Way di intermediazione al credito.
“Una delle prime operazioni – ha sottolineato il procuratore capo di Genova Francesco Cozzi – che dimostra come a Massa vi siano infiltrazioni di soggetti provenienti da altre zone ad alta intensità mafiosa che inquinano il tessuto economico locale”.

A capo del sodalizio ci sarebbe Sergio Romano appartenente alla cosca di Lamezia Terme di Cerra-Giamp-Torcasio, con numerosi precedenti e condanne per associazione mafiosa, omicidio, estorsione. Nell’inchiesta risultano indagate altre otto persone, oltre a quelle arrestate. Le accuse vanno dall’estorsione aggravata dal metodo mafioso alla truffa, fino alla spendita di monete false.

Le indagini sono partite nel 2017 dopo la denuncia di un imprenditore che aveva subito minacce e ricatti dopo che aveva acquistato all’asta l’immobile di una amica del gruppo. Dalle indagini  emerso anche che il gruppo aveva messo in piedi una serie di truffe coinvolgendo il direttore di una filiale del Mps di Massa. Il funzionario faceva avere piccoli prestiti alle persone presentate dal gruppo che usavano falsi documenti di identità per poi non restituire nulla alla banca. Da complice il direttore si  è trasformato però in vittima: gli arrestati gli hanno fatto credere che quelle persone lo avrebbero denunciato per truffa e che per metterli a tacere doveva pagarli. Il direttore ha così versato in un anno quasi 100 mila euro.

Un altro episodio riguarda un imprenditore costretto a versare quasi 7000 euro per un prestito ottenuto. Per convincerlo a dare i soldi il gruppo attua il cosiddetto “cavallo di ritorno”: si impossessano dello scooter fino alla consegna del denaro. Tutti gli episodi sono avvenuti a Massa.
“Si tratta di criminali di spessore – ha sottolineato il comandante del nucleo investigativo di Massa Tiziano Marchi – che in un anno ha messo in piedi un giro di oltre 400 mila euro”. Le indagini proseguono perché secondo gli inquirenti il gruppo potrebbe avere messo in piedi anche un giro di usura.

Carmine Romano e Massimo Di Stefano nelle ultime settimane avrebbero “infittito rapporti con due da loro chiamati ‘i siciliani’ sia per riavvicinare il direttore di banca loro vittima ed avviare nuove pratiche di finanziamento ad aziende che operano nel settore nautico viareggino, sia per offrire a costoro un servizio di “protezione” dietro corresponsione di una percentuale sui profitti delle attività dei medesimi”. È quanto emerge dall’ordinanza del gip. Per il giudice c’è quindi un pericolo di reiterazione del reato che si “evince dalle modalità e gravità delle condotte poste in essere con indiscussa “professionalità” (sintomatica di un’attività criminale abituale e ben rodata), e dalla pericolosità sociale di costoro, ricavabile anche dalla sistematicità con cui parrebbero essere dediti alla commissione di questo tipo di reati, nonché dal fatto che trattasi di soggetti per lo più privi di stabili e lecite fonti di sostentamento”.

Massimo Di Stefano, Carmine Romano e Sergio Romano, inoltre, sono dediti alla falsificazione di banconote e titoli di credito usando una tipografia di Massa (oggi posta sotto sequestro). I tre, secondo gli inquirenti, avrebbero stampato otto titoli di credito per un importo complessivo di 15 milioni

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