Una mega discarica in via dei Limoni, sostanze pericolose e cancerogene sotto terra rimaste lì da decine di anni. Una vicenda preoccupante, approdata questa mattina in commissione ambiente e discussa assieme al dirigente Fabio Mercadante e al geologo Simone Fialdini, venuta a galla solo nelle scorse settimane a seguito di un contenzioso tra privati, tra il venditore e l’acquirente di una parte di quei terreni. Il compratore, Oerk srl, infatti, non sapeva che stesse per comprare una zona inserita tra le “discariche storiche” di Massa, ed ha incaricato una società ad hoc di effettuare una serie di indagini approfondite per capire quanti e quali rifiuti si trovino lì sotto inviando i risultati a Procura, comune di Massa, ministero dell’ambiente, Arpat, Asl, vigili del fuoco. Tra i 2,5 metri e i 10 metri di profondità risultano rifiuti speciali non pericolosi; oltre i 10 metri si trovano rifiuti pericolosi con tossicità acuta tra cui percolato, metano, metalli, idrocarburi. Una discarica sotterranea stimata in 80 mila metri cubi ad una profondità di circa 12 metri in una zona dove insistono attività artigianali e a pochi metri dai pozzi dello stadio. Erano i primi anni ‘80 quando quella discarica fu chiusa: Langione, l’allora ditta di smaltimento rifiuti, la utilizzava come deposito dei rifiuti solidi urbani. Negli anni ’80 e 83 il comune di Massa, allora proprietario, vendette tre terreni come discarica controllata. In seguito fu inserita nel piano regionale delle bonifiche e l’amministrazione ha sempre proceduto ai controlli attenendosi a quel piano. “Anzi – aggiunge Mercadante – in via precauzionale avevo predisposto indagini di falda in aggiunta e siamo in attesa di una variazione di bilancio”. I vari sondaggi e monitoraggi hanno smentito un rilascio delle contaminazioni e i controlli di routine di Gaia sui pozzi non sono mai risultati positivi. Il comune, insomma, si è attenuto alle normative anche perché quella discarica, in area Sir, era esclusa dai siti da bonificare ed inserita nel piano provinciale per mantenere una memoria storica. Ora, Arpat ordina ulteriori indagini, misure di salvaguardia e un vincolo all’utilizzo dell’area fino all’avvenuta bonifica. La preoccupazione dei consiglieri della commissione, però, è molta sia per chi lavora su quel cumulo fantasma di rifiuti sia per una possibile contaminazione.