Per antichissima tradizione, il Venerdì Santo, i cristiani non celebrano l’Eucaristia. I riti proposti dalla liturgia sono dominati dalla croce, la “cattedra dell’amore di Dio”, così come è stata ribattezzata da Papa Francesco. Al tramonto, per le strade di borghi e città, sfilano processioni, tanto arcaiche quanto belle, che ricordano la morte di Gesù. Tra queste spicca la Via Crucis, pio esercizio dove si ricostruisce e commemora il percorso compiuto da Cristo per raggiungere il Golgota. Fin dalle sue origini, la Chiesa di Gerusalemme manifesta la sua attenzione per quei luoghi, definiti santi. Alcuni reperti archeologici attestano l’esistenza di espressioni di un culto simile, nell’area cimiteriale dove era stato scavato il sepolcro di Gesù, già nel II secolo. Queste processioni, con i loro canti e il loro stretto legame con i luoghi della Passione, vengono ritenute da alcuni studiosi una forma primitiva della futura Via Crucis.

Il medioevo

Durante il Medioevo, il fascino di Gerusalemme suscita il desiderio di “riprodurla” anche nelle proprie città: alcuni pellegrini, al ritorno dalla Terra Santa, ricreano nelle loro patrie i luoghi della Passione, dando vita a veri e propri capolavori d’arte; l’esempio più notevole è il complesso delle “Sette chiese di Santo Stefano”, a Bologna. Tuttavia, la Via Crucis così come la conosciamo oggi risale a San Bernardo di Chiaravalle, a San Francesco d’Assisi e a San Bonaventura da Bagnoregio, che prepararono il terreno a questa devozione. Al clima di pietà che i fedeli dell’epoca nutrivano verso la morte di Cristo, si deve aggiungere quello delle Crociate, azioni militari che si proponevano l’obiettivo di liberare il Santo Sepolcro dall’occupazione dei saraceni.

Tre devozioni unite

La Via Crucis nasce da una sorta di fusione di tre devozioni che si diffusero, a partire dal XV secolo in nord Europa, soprattutto in Germania e nei Paesi Bassi: le “cadute di Cristo sotto la croce” (se ne contano fino a sette), i “cammini dolorosi di Gesù” (processione da una chiesa all’altra in memoria dei percorsi compiuti da Cristo durante la sua passione: dal Getsemani alla casa di Anna, da questa alla casa di Caifa, ecc.), e le”stazioni di Cristo“, i momenti in cui Gesù si ferma lungo il cammino verso il Calvario. Spesso i “cammini di dolore” e le “stazioni” corrispondono.

La forma tradizionale

La Via Crucis, nella sua forma attuale, composta di quattordici stazioni, è attestata in Spagna nella prima metà del XVII secolo, soprattutto in ambienti francescani. Dalla penisola iberica passa dapprima in Sardegna, allora sotto il dominio spagnolo, per poi diffondersi in tutta l’Italia, dove San Leonardo da Porto Maurizio, un frate minore missionario, erige personalmente oltre 572 Via Crucis. La più nota è quella realizzata nel Colosseo, su richiesta di Papa Benedetto XIV, il 27 dicembre del 1750, a ricordo di quell’Anno Santo.

La forma biblica

Alla versione “tradizionale“, si accompagna quella “biblica“, dove non figurano le stazioni prive di un preciso riferimento evangelico, quali le tre cadute del Signore (III, V, VII), l’incontro di Gesù con la Madonna (IV) e con la Veronica (VI). Sono presenti invece stazioni dell’agonia nell’orto degli ulivi (I), il giudizio di Pilato (V), la promessa del paradiso al Buon Ladrone (XI), la presenza di Maria e del “discepolo amato” presso la Croce (XIII). Come si può ben vedere, si tratta di episodi che hanno un forte significato teologico. Questa forma di Via Crucis inizia a svilupparsi nel XX secolo a partire dal secondo dopo guerra. Ai pellegrini che raggiungono Roma per celebrare il Giubileo del 1975, il Comitato Centrale per l’Anno Santo offre il “Libro del pellegrino“, in cui, oltre alla Via Crucis tradizionale, figura uno schema alternativo, al quale in parte, si riallaccia anche quella biblica. Con questa forma non si intende cambiare il testo tradizionale, ma mettere in luce il ruolo dei personaggi, la lotta tra luce e ombre che essi incarnano. Ognuno di loro prende parte al mistero della Passione schierandosi pro o contro Gesù, in modo che risulti chiaro il loro pensiero.

La Via Crucis al Colosseo

L’idea di far svolgere la Via Crucis nel Colosseo è di Benedetto XIV, che incarica frate Leonardo già nel dicembre 1749, anno in cui il santo rivolge un’istanza ufficiale alla magistratura romana per ottenerne il permesso, che viene concesso il 13 dicembre 1749. Pochi mesi dopo iniziano i lavori per costruire all’interno dell’Anfiteatro Flavio le quattordici stazioni della Via Crucis. L’edificio viene considerato un luogo di “venerazione” perché si ritiene che al suo interno sono stati martirizzati i cristiani al tempo della Roma imperiale. In mezzo all’arena viene eretta una semplice croce e intorno si restaurano le antiche cappelline che già a partire dal 1500 custodivano immagini della Passione. Il 26 dicembre del 1750, padre Leonardo annuncia ai fedeli che l’indomani si sarebbe svolta al Colosseo una solenne Via Crucis, dopo la benedizione del Pontefice alle quattordici stazioni. Quel giorno, il frate si avvia a piedi scalzi all’anfiteatro, seguito dal popolo che canta litanie. Per oltre un secolo, il Colosseo diviene meta della Via Crucis che percorre la via Sacra, ma dopo il 1870, con l’unità d’Italia, Roma perde questa consuetudine, tanto che le edicole e la croce vengono rimosse. Nel 1926 la croce viene ricollocata nel Colosseo, dove è ancora oggi, non più al centro ma di lato. Nel 1959 Giovanni XXIII ripristina il rito, che nel 1964 viene trasmesso, per la prima volta in Eurovisione.

Folklore e tradizione

Col passare del tempo, il sentimento religioso si è intrecciato con il folklore e le tradizioni di ogni luogo, dando così vita a riti e processioni suggestivi in ogni regione d’Italia. Da nord a sud della Penisola, non c’è borgo o città che non celebri la Passione di Gesù con una peculiare manifestazione. In Piemonte, ad esempio, a Romagnano Sesia (No), il Venerdì Santo (solo degli anni dispari) si celebra con veri e propri quadri viventi che camminano per il paese. A Vercelli, invece, è in programma la “Processione delle macchine”, nata nel 1833: otto pesanti gruppi scultorei trasportati a spalla vengono portati in processione per il centro della città. Una delle più antiche d’italia, se non la più antica, la processione del Venerdì Santo che si svolge a Orte, dove i gruppi delle confraternite sfilano di sera recando croci e simboli della Passione, seguiti da penitenti scalzi che portano catene alle caviglie. Seguono la bara con il Cristo morto, “le piangenti”, le Marie nerovestite e la statua dell’Addolorata. Al termine, i confratelli distribuiscono fiori che vengono conservati dai fedeli. Ma è al sud che si svolgono le Vie Crucis più particoalri. A Taranto vi sono ben tre processioni, tutte lente e suggestive. La prima è detta dei Perdùne, come erano detti i pellegrini che andavano a Roma per il Giubileo. Hanno la testa coperta da un cappuccio bianco sormontato da un cappello nero; sfilano a piedi nudi dal pomeriggio del Giovedì fino a notte fonda. A questo punto parte la seconda, quella dell’Addolorata, aperta dal Troccolante, che dà il ritmo suonando la troccola, una tavoletta di legno con denti di ferro: per percorrere quattro chilometri ci mettono più di dieci ore. Nel pomeriggio del Venerdì parte la processione dei Misteri, con gruppi statuari e il simulacro del Cristo morto: la sfilata avviene fino all’alba del Sabato Santo. In totale, più di 40 ore di processione continua. Suggestiva anche la Settimana Santa di Nocera Terinese (Cz), che raggiunge il suo momento clou durante il Sabato Santo con i flagellanti o vattienti in corteo, figure che si battono a sangue le cosce e i polpacci. Celebrazioni intense e partecipatissime per tutta la Settimana Santa si svolgono anche a Caltanissetta, dove sfilano processioni incredibili per maestosità e magnificenza. La Sardegna non fa eccezione. La cittadina di Iglesias è nota per la processione notturna che si svolge tra il Venerdì e il Sabato Santo, quando va in scena un pomposo corteo funebre di derivazione spagnola e barocca, simile a quello di un re. Ad Alghero, invece, di grande suggestione è l’innalzamento del Cristo sulla croce.

Nella foto “Il Cristo giallo” di Paul Gauguin del 1889, una tela di intenso valore mistico. La scena è dominata da un grande crocifisso, come spesso compaiono nella campagna, sotto il quale tre donne, nei costumi tradizionali bretoni, sono inginocchiate a pregare. Fa da sfondo un paesaggio rurale. La composizione riprende quello della «Crocefissione» comune a tante immagini medievali, dove però al posto del Cristo vi è un crocifisso e al posto della Madonna, e San Giovanni, vi sono delle contadine. Il significato è ben chiaro: rivivere nell’esperienza quotidiana il mistero del sacrificio di Gesù. Il colore giallo assumeme il valore di unione simbolica tra le messi di grano e il Messia.