Domani sarà sull’altare a fianco del vescovo per celebrare i funerali di Antonio Taibi, il maresciallo ucciso mercoledì mattina a colpi d’arma da fuoco. Lui, quel giovane, lo conosceva bene, perché era un suo parrocchiano. E così, mentre si prepara a un rito funebre che rimarrà probabilmente nella memoria dell’intera città, Don Raffaello prova a dare una sua spiegazione di quello che è accaduto ieri in via Monterosso: «Il maresciallo aveva tentato di rimettere sui binari giusti quei due ragazzi, così sbandati. Vignozzi avrebbe dovuto ringraziarlo e invece, ha perso la testa..». Sì perché secondo il sacerdote del Duomo, Antonio Taibi, con il suo lavoro di maresciallo dei carabinieri e con le sue indagini sui due fratelli Vignozzi, Alessandro e Riccardo, stava tentando di «arginare e fare trincea alla brutalità del male e della droga» in cui quei ragazzi erano sprofondati. «Antonio non stava facendo del male a nessuno anzi, semmai voleva toglierli dal male quei due giovani…voleva riportarli sulla retta via» insiste il Don, che definisce il maresciallo un uomo «che si è espropriato della vita, per il bene della nostra comunità». Don Raffaello del resto quel carabiniere palermitano d’origine e carrarese d’adozione lo conosceva davvero bene: era stato lui a celebrare le nozze tra Antonio e Maria Vittoria Mari, nel 1998, lui a battezzare i due figli Carlo e Gianni, di 17 e 14 anni. Proprio lo scorso fine settimana, il parroco del Duomo aveva incontrato i genitori di Taibi, «anziani ma in gambissima» arrivati in città da Palermo per stare un po’ col figlio: «Sono ripartiti per la Sicilia il giorno prima del delitto…lo hanno visto vivo per l’ultima volta» sottolinea amareggiato il sacerdote. Come consolare, se mai possibile, una famiglia straziata da un dolore così grande e incomprensibile? «Devono sapere che Antonio è un uomo degno di stima, ricordo e memoria. E sperare che da lassù ci aiuti tutti a essere degni come lui di fare il nostro dovere, costi quel che costi» conclude con parole che suonano come una preghiera, Don Piagentini.