Che domande fai a un uomo che viene a sapere che non ci sono colpevoli per la morte della moglie e del figlio di appena due anni? Nessuna, lo abbracci e basta. Antonio Guadagnucci ricambia l’abbraccio, sussurra il suo sconforto nell’orecchio del cronista e poi si ricompone. Mostrando tutta la dignità che lo ha contraddistinto in questi lunghissimi cinque anni. «Non ci sono parole da dire – spiega – è una cosa durissima da mandare giù». Intorno a lui ci sono gliavvocati e la figlia Michela, che non lo ha mai lasciato un istante. Gli dicono che c’è l’appello e che in sede civile tireranno in ballo anche il Comune perché come hanno detto tutti bisogna risarcire il dramma di questa famiglia.

Ma guardando gli occhi azzurri di Antonio si capisce che sta pensando a Nara e a Mattia, a quando l’estate scorsa ha trovato la forza di andare a piangere sulla loro tomba e a giurare che avrebbe ottenuto giustizia per la loro scomparsa. Aveva capito che sarebbe andata diversamente quando il consulente nominato dal tribunale – il giudice lo ha scelto documentandosi su Internet e individuandolo come uno dei più preparati in questo campo – ha parlato di evento eccezionale. Solo allora aveva chiesto aiuto al cronista che aveva seguito la sua tragedia di trovargli spazio sul giornale perché voleva dire la sua.

 Lo ha fatto, tornando perfino a Lavacchio per scattare foto e girare video che dimostravano – a suo parere – la negligenza della Provincia. Era stato chiaro: «Non può finire così dopo cinque anni, non possono dirmi che Nara e Mattia sono morti per una fatalità, per una bomba d’acqua che cade una volta ogni 234 anni. Perché non è così, a Lavacchio chi doveva fare manutenzione non l’ha fatta. Chi doveva garantire l’incolumità della mia e delle altre famiglie, che si sono fidate dei permessi dei tecnici e hanno costruito la loro casa lassù, si è voltato dall’altra parte. E devono pagare per questo, altrimenti dopo avermi asfaltato la notte del 31 ottobre mi seppelliranno». Non lo hanno seppellito, ma ieri dopo la sentenza si reggeva in piedi per inerzia, si sentiva sconfitto. Ma non ha perso, anzi in questi giorni ha dimostrato tutta la sua forza: voleva capire se quello che pensava lui era tutta una suggestione oppure la verità.

Ha scattato foto ai tombini, alle griglie di scolo e ha dato un’occhiata ai nuovi lavori fatti fare dall’ente che accusa dopo la frana del 2010. E ha girato un video, scoprendo tubi che convogliano le acque lontano da quella che una volta era casa sua. Quel filmato lo ha dato ai suoi avvocati . Non è servito a dimostrare di chi sono le colpe di quel fango caduto sulla sua famiglia, però. Per ora.

 

il tirreno