man writing a contractNon è semplice scrivere una lettera aperta, specie per chi come me non è neppure un abile oratore, ma da tempo meditavo di portare alla conoscenza dei più alcune riflessioni in merito non solo alla situazione economico-lavorativa in cui operiamo noi imprenditori, peraltro nota a tutti, ma anche alle condizioni che determinano la sopravvivenza di molte aziende, in particolare per quanto riguarda le gare d’appalto, aspetto questo meno noto se non per chi lo vive in prima persona.

Il fatto che non ci sia lavoro oramai è un dato incontrastabile, mantenere la propria fetta di mercato è una chimera. Per le aziende come la mia, che sono molte, che ad oggi non hanno gravato con riduzioni di orari di lavoro o trattamenti economici sul personale, che già è ampiamente sacrificato, ogni giorno diventa più difficile far quadrare il bilancio.

Non ci sono gare di appalto, le poche che vengono indette vedono la partecipazione, anche per poche decine di migliaia di euro di bando, di centinaia di aziende da tutta Italia, e questo evidenzia come il problema sia diffuso su tutto il territorio nazionale.

Vorrei soffermarmi un attimo, e questo è il senso della mia lettera, sul fatto che per aggiudicarsi una gara che può determinare la sopravvivenza o la continuità delle nostre aziende non servono professionalità, competenza, serietà, certificazioni di qualità o altro ma solamente la buona sorte… Sì, avete capito bene, il famoso lato B: per aggiudicarsi un appalto una azienda come la mia, che ha tutti i requisiti necessari maturati con trenta anni di attività, che vanta personale altamente qualificato e certificazioni di ogni tipo, deve solamente avere la fortuna indovinare al terzo decimale la giusta offerta d’appalto. Basta un euro, o un centesimo, e un appalto che potrebbe garantire futuro, lavoro e investimenti sfuma, spesso in favore di soggetti meno qualificati. E’ giusto?

Ora qualcuno potrà chiedermi se pretendo di cambiare il sistema degli appalti pubblici. La risposta è sì. Vorrei che almeno si provasse non soltanto a premiare il risparmio ma che si tornasse anche a gratificare la professionalità, la correttezza, le capacità imprenditoriali, insomma tutti quei requisiti che hanno sempre caratterizzato l’imprenditoria italiana e ne potrebbero garantire la sopravvivenza.

Manca, inoltre, uniformità, basti pensare alle differenti metodologie che le Pubbliche Amministrazioni o Enti applicano nei confronti di piccole realtà come la mia in ordine di autorizzazioni al subappalto e quanto invece viene concesso ai grossi gruppi che realizzano opere mastodontiche subappaltando il 200% dei lavori.

A volte mi chiedo se veramente esiste la volontà di cambiare le cose, mi chiedo se la politica a livello locale e nazionale abbia mai pensato di dare voce al tessuto imprenditoriale che mantiene a galla l’Italia e magari accoglierne le esigenze.

Ultimo aspetto che vorrei rendere pubblico, ma ce ne sarebbero ancora tanti, è l’ultima invenzione del precedente Governo Monti che ci ha regalato una chicca: ha concesso a pochi Gruppi, e qui si potrebbe aprire un dibattito sui motivi ma si rischierebbe una denuncia per calunnia anche se calunnia non è ma la semplice e scomoda realtà, di usufruire contratti a lungo termine, sette anni, di gestione totale di strutture pubbliche, con evidenti forzature nei contratti. Questo implica la totale scomparsa di lavoro per le aziende locali che vivevano o meglio sopravvivevano di questo lavoro. Ora, per queste aziende, l’unica prospettiva è lavorare in subappalto per questi gruppi a tariffe da fame e spesso non pagati. Questa è una prospettiva di crescita? Questa è giustizia?

Molti imprenditori come me sentono il dovere di andare avanti per il rispetto di se stessi, dei loro collaboratori e dei loro figli. Di questo passo, però, il destino di tutti noi è soltanto quello di essere risucchiati da questa insoluta e taciuta spirale di rescissione.

Paolo Tioli