“Fantasma”, una definizione quanto mai calzante per Olga Komut, la 31enne ucraina morta nel sonno al settimo mese di gravidanza, trovata ieri in una tenda nei pressi dell’ex capannone ferroleghe, nella zona industriale. Un “fantasma per scelta” dice qualcuno, una persona che aveva deciso di non chiedere aiuto e di nascondersi dalla rete sociale del nostro territorio: niente contatti con i servizi sociali, almeno da un anno e mezzo, e nessun legame con i rappresentanti locali della sua comunità di origine, quella ucraina, all’interno della quale nessuno ha mai sentito parlare di lei. “Conosciamo tutti gli ucraini da qui a Pisa e non sapevo di questa ragazza – raccontano Olga e Sergei, da nove anni in Italia, referenti della Comunità Ucraina di Carrara, che hanno appreso la notizia della morte della loro connazionale solo ieri dai giornali. “Questa signora aveva paura e si è nascosta”, commenta Daniela Tommasini, dirigente del Settore sociale del Comune di Carrara, che aggiunge “probabilmente sapeva bene come funzionano i servizi e non si è voluta affidare alla nostra tutela”. “Noi non facciamo le ronde, se una persona in difficoltà non si rivolge volontariamente a noi o non ci viene segnalata dalle forze dell’ordine o da terzi, non abbiamo modo di aiutarla”, aggiunge ancora la dirigente Tommasini, raccontando che comunque nel corso del 2011 i casi trattati dal suo settore sono quadruplicati rispetto al passato. Colpa della crisi e delle difficoltà economiche, che hanno portato nella rete del sociale carrarese, almeno una trentina di persone nel corso dell’ultimo anno: “Sono soprattutto carraresi non più giovani – spiega Daniela Tommasini – cittadini che si ritrovano magari da un giorno all’altro senza un tetto sotto il quale vivere”. Storie radicalmente diverse da quelle di Olga, che viveva in una tenda nei pressi della ferrovia, nonostante la gravidanza e la malattia ai polmoni: difficile dire fino a che punto questa “soluzione” sia stata una scelta consapevole, così come quella di non cercare aiuto nella sua comunità d’origine, molto coesa a livello locale. A segnare la giovane madre, forse, l’esperienza maturata un anno e mezzo fa, quando dopo aver segnalato al settore sociale di Massa i maltrattamenti del marito sul suo primo figlio, si era vista sottrarre il bambino, dato in affido familiare. “Se si fosse rivolta a un consultorio avrebbe potuto mantenere l’anonimato e ricevere le cure del caso”, sottolinea ancora Daniela Tommasini. Ma forse, questa volta, la paura di perdere anche il suo secondo bambino ha avuto la meglio, e ha spinto Olga a rimanere nascosta nella sua tenda, anche a costo della sua vita e di quella di suo figlio.