Tutti in divisa. E gratis. Un privato sponsorizza la divisa di una scuola pubblica. Accade a Montignoso, piccolo comune di più di 10 mila anime tra Versilia e Alpi Apuane. Per uniformare la moda dei 400 alunni delle classi medie “Giorgini”, senza costi per le famiglie, è arrivata la Fondazione Campolonghi, creata dal presidente e amministratore delegato dell’omonima azienda di marmi. Ma la norma del regolamento d’istituto, entrata in vigore quest’anno, non piace a tutti. E una parte dei genitori si rifiuta di mandare i figli a scuola con il “completo scolastico”. Ama precisare proprio questa dizione la preside Tosca Barghini, che spiega: “Non è una divisa. Il termine ha un senso militarista troppo lontano dalla nostra visione”. Se metà dei genitori eletti al Consiglio d’istituto dice “no” all’abito uguale per tutti, dai questionari di gradimento dei ragazzi emerge, invece, un netto “sì” con ben il 76%. Intanto, si procede con le ordinazioni del completo.

Abbigliamento casual.
Niente stile collegiale con gonne plissettate e calzettoni alti fino al ginocchio per le femminuccie. E nemmeno cardigan abbottonati “english style” per i maschietti. La mise scelta ha una linea essenziale e casual: polo, felpa e pantalone blu marchiati dal logo della scuola. L’idea è nata un anno fa dalla proposta di una mamma. “Non so perché l’abbia fatta – dice la preside Barghini- ma noi di motivazioni ne abbiamo tante per accettarla.

Ad esempio, perché i ragazzi si discriminano sulla base alla griffe sfoggiata. Attraverso percorsi didattici cerchiamo di diffondere un messaggio opposto, quello che il valore della persona non si attribuisce all’aspetto fisico o dagli oggetti che possiede o indossa. Adottare, quindi, un abbigliamento d’istituto è semplicemente dare concretezza a questa dottrina teorica”.

Un colloquio. Sarà questa la sanzione prevista per i genitori che non rispetteranno la norma. “Mi hanno diffidato dal prendere provvedimenti nei confronti dei loro figli – spiega la Barghini – quindi cercherò di capire le motivazioni. Credo però che sia una indubbia sconfitta del genitore. Disubbidire a una regola o imporre al figlio di non rispettarla, sebbene adottata con un procedimento democratico lungo un anno, credo che per un educatore sia un vero fallimento”.

Il logo. Non solo senso di ordine e uguaglianza ma anche un’identità condivisa tra gli alunni. Poi, l’orgoglio. Con questi presupposti gli studenti sono stati chiamati a creare il logo della divisa ispirato al mare, alle montagne e alla rocca Aghinolfi. Ma il logo dello sponsor, secondo quanto dichiarato dalla preside, non comparirà sull’abbigliamento.

Sessantasei euro. Questo il costo del completo che in perfetta tendenza con l’usanza inglese servirebbe a non creare differenze sociali tra i banchi di scuola. “Il nostro è un piccolo paese dove la condizione socioeconomica è eterogenea – afferma la preside – ma sappiamo che ci sono genitori che pur di far indossare scarpe di marca da 200 euro ai figli si tolgono il pane di bocca. Se poi consideriamo che siamo in tempi di crisi economica, la norma d’istituto non che avvantaggiare i portafogli. Resta il fatto che più della metà dei genitori ha ordinato il completo”. Già dal prossimo anno, quindi, i ragazzi in divisa (ma con scarpe scelte e comprate in aumonomia, ndr) siederanno allo stesso banco degli “indisciplinati”. E c’è già chi, come Luisa (il nome è di fantasia), avverte la paura di una nuova discriminazione. Quella di essere presa in giro o allontanata dalle sue compagne perché ha scelto, assieme ai suoi genitori, di rispettare la norma. Sa già che le amiche non lo faranno.