ospedale      Cinque ore in barella, in una corsia del pronto soccorso, ad aspettare un’ambulanza. Troppo. Non c’era alcuna urgenza, d’accordo: si trattava solo di tornare a casa dopo un’emergenza per fortuna risoltasi bene. Comunque troppo. Anche perchè nessuno ha risposto alle sue rimostranze. Neanche carabinieri e polizia. Così il signor Giorgio A. si arrabbia.

E decide di raccontare ai giornali la piccola odissea vissuta domenica assieme alla moglie.
Tutto comincia al mattino, quando la moglie del signor Giorgio, Maria, 72 anni, cade in casa. Una brutta caduta, per lei, che è reduce da un ictus e da una precedente caduta, in cui aveva riportato la frattura del femore. Il marito chiama il 188 e i soccorsi sono rapidi, «Ed efficaci», aggiunge l’uomo che assicura di come al pronto soccorso la moglie sia stata visitata e curata con professionalità e senza perdite di tempo. I problemi cominciamo “dopo”. Sono le 10,30 circa quando la visita dei medici si conclude con una diagnosi positiva: signora, nessuna frattura, niente di grave, lei può tornare a casa. Già, ma la signora Maria, deve stare sdraiata – anche causa delle patologie precedenti e della fasciatura che le hanno fatto – e perciò ha bisogno di una barella e di un accompagnamento con un’ambulanza; impossibile accompagnarla su un’auto privata. La barella, il personale del pronto soccorso la fornisce subito. Anche il servizio di riaccompagnamento viene allertato nel giro di poco. Il mezzo arriverà, invece, soltanto verso le 15,30. Cinque ore dopo.

I coniugi aspettano prima fiduciosi, poi sempre più inquieti, spossati e adirati. «Medici e infermieri del pronto soccorso – racconta il signor Giorgio – allargavano le braccia per dire che non potevano farci niente. Erano costernati, provavano a richiamare il servizio ma si sentivano rispondere che l’ambulanza era impegnata in altri trasporti». Passano le ore e la donna resta sempre lì, parcheggiata in una corsia del pronto soccorso. Il signor Giorgio chiama i carabinieri, poi la polizia, è stanco, esasperato e preoccupato per la moglie.

Sono passate le 15 quando, finalmente, arriva l’ambulanza del servizio «trasferimenti». Abbiate pazienza, non è colpa nostra, siamo soli, dovevamo fare mille altri viaggi, si giustifica l’equipaggio.

«Non finisce qui», mormora il signor Giorgio una volta tornato nella sua abitazione di via Capaccola. E la mattina dopo, ieri, è in redazione e raccontare la sua e a ripetere: ma com’è possibile dover aspettare tanto?
L’Asl ammette il disservizio. Nei giorni festivi, spiegano alla direzione aziendale, c’è una sola ambulanza, sul territorio, per effettuare i trasferimenti “non urgenti” dei pazienti. E la sfortuna ha voluto che nella giornata di domenica, quell’ambulanza sia stata impegnata a lungo in trasferimenti di pazienti da un ospedale all’altro. Un super-lavoro che di solito non si registra, dicono ancora all’Asl, che ha costretto quei signori a una attesa più lunga del previsto. Comunque, specifica ancora l’azienda, non c’era urgenza, altrimenti saremmo intervenuti prima.

da Il Tirreno