da Corriere della Sera

Casini addio. Bruno Tabac­ci ha passato la domenica a casa del figlio, a Milano, a scrivere le lettere di dimissioni dall’Udc e dalla vicepresidenza della com­missione Bilancio. Per il momento va nel gruppo misto, in attesa di costruire il nuo­vo grande partito di centro. Bruno Tabacci «C’è stata un’accelerazione, di fronte a cui non si può restare indifferenti. Non ho alcun intento polemico verso Casini: cre­do che il suo riavvicinamento a Berlusconi sia tattico, non strategico; ma ovviamente non è questa la mia posizione. Non penso che tra Berlusconi e Casini sia stata sanata la rottura del febbraio 2008. Allora ero can­didato alla presidenza del Consiglio per la Rosa Bianca, e rinunciai, senza porre con­dizioni. Ora le cose sono cambiate. Invece di tergiversare, in questi mesi Casini avrebbe dovuto accelerare la costruzione di un nuovo partito, superando l’Udc e gli sforzi sia pure apprezzabili per la costi­tuente di centro. Mi auguro che con Pier Ferdinando ci si possa ritrovare più avan­ti; prima o poi, pure lui dovrà ricollocarsi al centro nell’orizzonte di un partito comu­ne; anche perché immagino che ad Arcore non caverà un ragno dal buco. Io comun­que con Arcore e dintorni non intendo ave­re nulla a che fare». Il centro che verrà, dice Tabacci, dovrà essere «distante e alternativo al populi­smo di Berlusconi e della Lega, anche se certo non agli elettori di quello schiera­mento mediaticamente ancora irretiti». E dovrà essere «un’alleanza dinamica, aperta al dialogo tra laici e cattolici, di­stinta ma attenta all’evoluzione della sini­stra politica e del Pd». Tabacci guarda ov­viamente a Rutelli e agli scontenti del Pd: «La definitiva collocazione del Parti­to democratico di Bersani nell’alveo del socialismo europeo è coerente con l’evo­luzione del filone postcomunista italia­no, molto meno per gli altri che non pos­sono cancellare la loro storia. In questo senso l’iniziativa di Rutelli è motivata e ineccepibile. Bersani fa il suo mestiere, ma noi dobbiamo fare il nostro». Che succede domani? «Ho chiesto a Pez­zotta da giorni di riunire gli amici della Ro­sa Bianca per condividere questi passaggi. Chiederò l’iscrizione al gruppo misto, in­crociando alcuni colleghi che sono già là: penso a Giulietti che arriva dall’Italia dei valori e alle rappresentanze regionali co­me quelle di Raffaele Lombardo — un’al­tra forza in movimento almeno in Sici­lia — con cui ho dialogato al momento delle incursioni leghiste sui fondi Fas. Sono certo che molti arriveranno: Ca­learo, Pisicchio, Lanzillotta, Vernet­ti; e parecchi altri. Io comunque parlo per me. A giorni si vedrà lo spazio per un’iniziativa politica e parlamentare adeguata, con Rutelli e Dellai, la cui traccia potrebbe essere il Ma­nifesto per il cambiamento e il buongover­no sottoscritto nei giorni scorsi». Tabacci è convinto che il Paese stia vi­vendo un’ora decisiva, esposto all’offensi­va finale del berlusconismo. «Non è il mo­mento di tatticismi. Bisogna buttare il cuo­re oltre l’ostacolo. La commistione inces­sante tra pubblico e privato, l’esaltazione dei conflitti di interesse, una pratica di go­verno in cui il fare confuso soppianta la bussola dell’ideale, hanno ridotto ai mini­mi termini lo spirito etico della politica ita­liana. E ora si vorrebbe imporre un assetto presidenziale senza contrappesi, sul model­lo della Russia di Putin, e stravolgere l’equi­librio dei poteri, ponendo il legislativo e il giudiziario in capo al governo. Così non si dà il potere al popolo; così lo si spoglia, la­sciandolo indifeso. Preferisco di gran lunga un modello parlamentare certo più sobrio di quello attuale, che rappresenti le articola­zioni della nostra società. La mia opposizio­ne sarà intransigente. Oggi Berlusconi ricat­ta sulla giustizia; poi verrà il resto». Alla riforma della giustizia del Pdl Tabac­ci proprio non crede. «Io ho provato sulla mia pelle gli eccessi della magistratura. Mi sono assunto le mie responsabilità, pure quelle che non avevo. Sono rimasto fuori dalla politica per sette anni, dal 1994 al 2001. Ma non voglio certo essere ‘vendica­to’ da Berlusconi, né gli riconosco alcun titolo a farlo. Ricordo bene quegli anni. Ri­cordo le monetine dei comunisti, le manet­te dei fascisti, il cappio dei leghisti. Ricor­do il ruolo di Violante con le Procure e del­la Finocchiaro nella commissione per le autorizzazioni a procedere. Ma ricordo an­che le tv di Berlusconi, con Emilio Fede che promuoveva il giovane Brosio a leader del marciapiede d’oro, in attesa davanti al Palazzo di Giustizia dell’ultimo avviso di garanzia. E ricordo che il primo atto di Ber­lusconi in politica fu di offrire l’Interno a Di Pietro e la Giustizia a Davigo. Appogge­rei e avrei appoggiato in tutti questi anni una riforma della giustizia che toccasse i cuori e gli interessi dei cittadini: si può ar­rivare alla divisione delle carriere, si devo­no accelerare i processi; ma per risponde­re a chi ha sete di giustizia, non per rincor­rere i processi di Berlusconi». Si candiderà alla Regione Lombardia? «Non ho certo fatto una mossa per suggeri­re una mia candidatura, che vedo molto lontana dalla mie condizioni esistenziali — risponde Tabacci —. Il presidente della Lombardia l’ho fatto più di vent’anni fa. Uno dei motivi della mia critica all’Udc è il sostegno a Formigoni, alla logica di potere di Cl in connessione con la Lega. Dico no al quarto mandato, all’’Impero’ di Formi­goni, che ci ha dato i disastri di Malpensa e dell’Expo; e pure sulla sanità ci saranno molte cose da dire. Non ho mire personali. Voglio contribuire a lanciare un appello esemplare e credibile alla coscienza civile del popolo. Siamo nel mezzo di una crisi economica strutturale: se ne esce con rifor­me profonde, con un nuovo patto fiscale che saldi il rilancio economico alla redistri­buzione di una ricchezza che non può re­stare così sommersa. Non si può andare avanti con il 28% dell’economia in nero. Non servono i tagli lineari di Tremonti, che trattano alla stessa maniera cose diver­se; serve un’incisione rigorosa sulla quali­tà della spesa pubblica. Sono molto preoc­cupato per il Paese. Ma sono convinto che il mio stato d’animo non sia isolato. Per questo è necessario testimoniarlo». Aldo Cazzullo